Lobo e Cão, di Cláudia Varejão

Un film frutto dell’osservazione che racconta una generazione di adolescenti muovendosi tra gli spazi della finzione e del reale. Il vincitore del il GdA Director’s Award 2022

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Perché lo tengono in gabbia?

Per farlo sopravvivere.

L’adolescente Ana (Ana Cabral) vive con la madre, la nonna e due fratelli su un’isola dell’oceano Atlantico, dove religione, tradizioni e credenze antiche convivono con la nuova generazione. È estate e Ana passa le serate con il suo migliore amico, Luis (Ruben Pimenta), a ballare e chiacchierare in un locale di drag queen. Quando arriva una sua amica dal Canada, per Ana sembra giunto il tempo di un cambiamento.

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Indubbiamente Lobo e Cão è erede di una lunga tradizione attenta al reale (La pointe courte, Viaggio in Italia), in cui elementi appartenenti alla cultura popolare si inseriscono nella storia. Varejão non è estranea a questo mondo avendo alle spalle due documentari che presentavano situazioni simili (una comunità di pescatrici nipponiche e un’indagine esistenziale sulle affinità che legano esseri di natura diversa). Processioni, ritiri spirituali, feste sono in questo film essenziali non tanto a creare una contrapposizione con i giovani protagonisti, anzi: il passato dell’isola ha saputo adattarsi alle espressioni di un presente fluido, fluo e arcobaleno, dove la propria identità è vissuta nella piena consapevolezza del diritto a essere liberi. Liberi di mostrarsi per quello che si è attraverso un rituale di vestizione che porta in primo piano l’immagine, schierando un piccolo esercito che guarda in macchina e sfida qualsiasi oppositore. È una libertà che passa anche da dentro, da una tensione tutta riflessa nei conflitti famigliari, allo stesso modo silenziosi, che si accendono in uno sguardo o in un gesto del corpo rannicchiato sul letto e trovano una quiete passeggera dopo una notte trascorsa a fare l’amore.

L’isola, per via della sua conformazione, è uno spazio-limite che cerca di tenere aggrappate a sé le persone senza però nascondere le possibilità che si prospettano all’orizzonte. Varejão non può non tenere conto di questi aspetti antropologici, di come la geografia del luogo condizioni le vite di chi lo abita. Nel suo sguardo, che spesso si accosta a quello di un semplice osservatore, c’è giusto una spinta che mette insieme le parti della storia. Non ci sono eccessi o forzature nella sceneggiatura così come nella messa in scena, in cui si apprezza una fotografia dai colori pieni e avvolgenti, affatto saturi. Anche la rappresentazione degli adolescenti è mediata solo in piccola parte: questi sono visti dall’esterno, non ne sentiamo i pensieri.

Ana e Luis sono in un momento in cui le scelte prendono forma e avranno una ricaduta sul loro futuro e su quello che saranno: ci appaiono come ondeggianti, tra il presente e un dopo non ancora definito; a scuola indossano delle maschere, sono cani o lupi? o forse entrambi? – non importa la direzione che prenderanno. Lobo e Cão ci restituisce in maniera molto sostenuta questo nesso tra natura umana e animale che echeggia anche alla fine con un lavoro sul suono, mentre sullo schermo vediamo l’immagine della protagonista di fronte alla sua nuova sé.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
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