Locarno 56. La musica e le vite inquiete dei giovani

Un film scozzese, uno americano e il primo italiano che, nell'anno dedicato al rapporto musica e cinema, utilizzano canzoni e modelli musicali come punto di partenza e tessuto connettivo dei loro differenti ritratti di gioventù segnate, inquiete e cronicamente in crisi.

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In un festival pensato, quest'anno, nel segno della musica, attraversato da una straordinaria retrospettiva sul Jazz nel cinema, inaugurato dalla copia restaurata di un capolavoro del musical come Band Vagon di Minnelli, anche tre dei film del Concorso Internazionale di Locarno scoprono come la musica non abbia solamente una funzione vicaria alle immagini, ma sia parte decisiva della tessuto connettivo dell'opera.

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Lo scozzese 16 Years of Alcoohol di Richard Jobson, l'americano Thirteen di Catherine Hardwicke e l'italiano Ora o mai più di Lucio Pellegrini hanno in comune il ritratto delle gioventù inquiete e cronicamente in crisi dei rispettivi paesi, ma utilizzano la canzoni e gli idoli musicali dei loro personaggi come punto di partenza per ritratti e spunti di vario genere, sociologico, ideologico, psicanalitico.


In 16 Years of Alcoohol sono gli anni Settanta a fare da tessuto sonoro, iconografico ed espressivo alla drammatica autoriflessione del protagonista Frankie, un giovane violento e alcolizzato che racconta in un profluvio di parole in voce off la sua vicenda: cresciuto in ambiente povero e disagiato, da bambino ha visto il padre amoreggiare con una sconosciuta e da allora qualcosa si è rotto, fidarsi di qualcuno è diventato impossibile. Dice Frankie che per lui l'amore è una cosa strana, per la quale un giorno ti senti triste e un altro felice, e intanto parte Pale Blue Eyes dei Velvet Underground, con Lou Reed che canta quasi le stesse parole: l'effetto ridondante e intimista regge, specie poi se si parla anche di David Bowie e Iggy Pop, se Frankie ha una banda di teppisti vestiti come i Drudi di Arancia meccanica e in camera ha il poster di Bruce Lee e quello del film di Kubrick. Ma nella seconda parte il film devia bruscamente verso la psicanalisi più ovvia, con la violenza del protagonista, che naturalmente proviene dalla scena primaria infantile, inutilmente placata dall'amore e poi fatalmente usata contro di lui in una vendetta tra ex compagni. Jobson è all'opera prima e purtroppo si vede: ha tratto il film da un suo stesso romanzo e lo ha adatto con troppa verbosità, quasi temesse di non farsi del tutto capire. con il suo stile dichiaratamente ispirato a, e da, Wong Kar-way: dissolvenze, carrellate, primissimi piani che lasciano l'impressione di un cinema mal conciliato.

La musica "usa e getta" dei nostri tempi, e tutto ciò che provoca in termini di mitologie di massa, è invece al centro di Thirteen, dove l'accento è posto sul potere persuasivo dell'arte commerciale, dal momento che le giovani protagoniste tredicenni del film, teenager di un sobborghi della California, sono a tal punto influenzate dai modelli imposti dallo shobiz da perdere qualsiasi tipo di umanità, orgoglio e affetto nel nome del look, dei vestiti, dell'appeal modaiolo. Il nome di J-Lo, per esempio, è citato più volte come modello in questo spaccato tipicamente indie della giovinezza occidentale – è americana ma potrebbe anche essere europea: la solita frenesia della macchina a mano, la fotografia sgranata, i primi piani attaccati a volti e particolari e situazioni da dramma familiare (scontri tra madre e figlia, fughe di casa, verità e menzogne tra ragazzine, violenze autoinflitte) che, aggiornate ai tempi della droga e della visibilità ad ogni costo, non distanziano tanto un film come Thirteen da un classico family melodramma hollywoodiano.

Infine, nell'italiano Ora o mai più la musica che si ascolta è quella dei centri sociali: musica da casino, da occupazione, da pogate, canne e sesso libero. In realtà si tratta solo di un pretesto, perché il film, una commedia di formazione con protagonista un laureando in fisica che scopre il mondo della disobbedienza civile (siamo alla vigilia del G8 di Genova e c'è anche Bolzaneto), vorrebbe parlare dell'antagonismo umano e ideologico di alcuni giovani italiani, ma annacqua il tutto in una retorica e in una banalità (pure qui voce off a profusione) che lasciano sconcertati. Ed è imperdonabile far recitare la parte di giovani arrabbiati, sballati e, per quanto criticabili, coraggiosi, da attori e attorucoli provenienti dalla pubblicità e da MTV. Una mancanza di rispetto o, peggio ancora, una grande ignoranza.

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