LOCARNO 65 – Incontro con ALAIN DELON


Ha la risposta tagliente come certi suoi personaggi silenti e letali, Alain Delon, e anche la statura – anagrafica e mitologica – per poterselo permettere. Da Melville a Visconti, con il desiderio di riuscire un domani a lavorare finalmente con Johnnie To, Delon racconta ai giornalisti di Locarno del suo disinnamoramento per il cinema di oggi, e di come si facevano al contrario i film una volta…

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Arriva rilassato, dopo il “Pardo alla Carriera” ricevuto ieri sera. E sul festival di Locarno fa una battuta: “Il Presidente mi ha detto che il Festival avrebbe bisogno di essere più conosciuto in giro. Perché avete aspettato 50 anni a chiamarmi?”. Poi ai giornalisti: “Se volete dormicchiare fate pure…"

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Lei ha detto che il suo modo di fare cinema è morto nel secolo scorso. Ha cambiato opinione in questo primo decennio di nuovo secolo?

Non sono un grande amante del cinema odierno e non sono l’unico a cui non convince. Ho avuto la fortuna di far parte di un grande cinema che faceva sognare. Oggi non è più possibile. C’è solo un film recentemente che mi è piaciuto veramente che è Quasi amici. Mi sarebbe interessato fare il ruolo di Cluzet ma non me l’hanno proposto.

La cosa che l’ha spinta a fare cinema è il testo di Sacha Guitry. Perché?

Ho avuto l’occasione di vedere Sacha Guitry in Debureau quando spiega al suo vice che cos’è il mestiere dell’attore e lì mi ha convinto. Io venivo dall’esercito, non avevo alcuna intenzione di fare questo mestiere. Sono le lacrime della mia infanzia difficile a tornare costantemente nei miei personaggi. A 17 anni sono andato sotto le armi, anche in Indocina. Poi sono tornato, ho fatto cose rischiose, poi miracolosamente il cinema è venuto verso di me. Forse sono stato scelto per il mio aspetto fisico, che era tutto l'opposto del mio travaglio interiore.

L’abbiamo vista anche in Asterix e le olimpiadi anche se lei non ha praticato molto la commedia. Perché?

Non era il mio stile. Raccontavo sempre l'aneddoto di un treno che passa: se dal finestrino si affaccia Belmondo, tutti ridono. Se mi affaccio io, nessuno. Lì in Asterix facevo il ruolo di Cesare. Il produttore non aveva neanche il coraggio di propormelo.

Ha paura della vecchiaia?

No, non ho paura della vecchiaia ma dell’infermità. Non vorrei mai mostrarmi al pubblico che mi ha amato indebolito o sfigurato. Mi fa paura l’impotenza, la sedia a rotelle, ma non la vecchiaia (tutti applaudono)

E il suo rapporto con la politica?

Non sono particolarmente appassionato di politica. Posso solo dirle che nella vita le uniche persone che non vanno in pensione solo i politici e gli attori. Sono sempre stato un uomo di destra – non l’ho mai nascosto – non sono un socialista e sono amico di un presidente che ora non è più presidente.

Quanto ha influito Visconti nella sua carriera?

Avevo grande rispetto per lui. Ne ero intimidito. Era un grande regista di teatro oltre che di cinema. Quando Visconti ha visto Delitto in pieno sole di Clément ha detto: “Quello è il ragazzo che voglio per Rocco”. Più tardi mi sono reso conto dell’enorme fortuna che hoi avuto di lavorare con lui.

E il suo lavoro con Melville in Frank Costello faccia d’angelo?

Era dello stesso tipo di quello con Visconti e Antonioni. Contrariamente a quanto dicono le persone, non sono un attore difficile. Lo sono con gli imbecilli, quelli indecisi, che non sanno dove mettere la macchina da presa e allora mi innervosisco. In Frank Costello faccia d’angelo tutti gli abiti del protagonista, dal cappello, venivano dal guardaroba di Melville stesso. Lui aveva le tre qualità essenziali di un uomo di cinema: 1) saper preparare la scena. 2) saperla spiegare all’attore 3) andare dietro la macchina da presa a dirigere. Oggi i registi hanno una o al massimo due di queste qualità.

Perché ha rifiutato il film di Johnnie To, Vendicami?

Non mi piaceva la storia e neanche il copione. Johnnie To è un grande regista e un giorno spero di lavorare con lui. Ma non con quella storia. Una volta Johnnie To era al Bristol in conferenza stampa. Quando ha saputo che ero arrivato, ha lasciato l’incontro nel bel mezzo, è corso da me, si è inginocchiato e mi ha baciato la mano. Ero sbalordito.

Lei metterebbe la sua esperienza a disposizione per scoprire, come produttore, un nuovo regista?

Ho già fatto 30 film come produttore. La prima volta era nel 1964. Ma oggi è troppo tardi…

Qual è il personaggio che piu' le è rimasto nel cuore?

Non ce n’è uno solo. Potrei dire Rocco, o il ruolo ne Il gattopardo, La piscina o Delitto in pieno sole. Ho la fortuna di avere interpretato una dozzina di grandi personaggi. Quando mi hanno chiesto "il cinema non ti manca"? Io ho risposto di no perché ho avuto e ho sperimentato tutto. 

L’esperienza negli Stati Uniti?

Davanti la macchina non c’è alcuna differenza. Negli Stati Uniti mi hanno proposto di fare Airport e Scorpio. Gli americani dell’epoca volevano che restassi lì. Ma non mi piaceva vivere laggiù. Ma mi mancava la Francia e Parigi. Mi sarebbe piaciuto lavorare con Sam Peckinpah. Lì comunque ci sono stato due anni, mio figlio Anthony è nato lì.

E recitare con Burt Lancaster?

Recitare con Burt Lancaster è come recitare con Jean Gabin. Lancaster era uno dei miei idoli. Tra questi c’era poi soprattutto John Garfield. Lui ha fatto quello che ha fatto Brando 20 anni prima, senza nulla togliere alla carriera di Brando.

E tra le attrici femminili con chi è che ha più legato?

E’ un po’ come i film. La prima è Romy Schneider, ma anche Shirley MacLaine. La piscina è un film che oggi non riesco più a guardare. Mi fa male.

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