LOCARNO 66: Carlo Chatrian: Il mio festival, tra passato e futuro

Carlo Chatrian
Rimangono i film in Piazza Grande, le Retrospettive sul cinema classico e gli omaggi ai grandi divi. Eppure il tocco del neodirettore, da quest'anno alla guida del Festival svizzero, si percepisce subito. Giornalista, critico, saggista, il neo direttore di Locarno ha raccontato, in esclusiva per Sentieri Selvaggi, la sua prima edizione della manifestazione.

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Carlo ChatrianRimangono i film in Piazza Grande, in cui il Cinema incontra il pubblico, emozione unica per chiunque assista per la prima volta al Festival di Locarno. Restano le Retrospettive sul cinema classico e gli omaggi ai grandi divi. Eppure il tocco di Carlo Chatrian, classe 1971, da quest'anno alla guida del Festival svizzero, si percepisce subito.

Giornalista, critico, saggista, dopo aver scritto per le maggiori riviste di settore, da Panoramiques e Filmcritica a Duellantie a Cinefourm, e aver pubblicato monografie su Wong Kar Wai e i documentaristi Frederick Wiseman e Nicolas Philibert, Chatrian ha iniziato una proficua collaborazione con diversi festival, da Courmayeur al Cinéma du réel, e il Festival dei Popoli di Firenze. A Locarno era già arrivato da qualche anno, e le ultime grandi retrospettive su Moretti, Manga Impact, Ernst Lubitsch, Vincente Minnelli e Otto Preminger portano la sua firma.
 
 
In esclusiva per Sentieri Selvaggi ha raccontato la sua prima edizione del festival

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george cukor sul set con cary grant e katharine hepburnQuesto è il tuo primo anno alla direzione artistica di Locarno. Cosa hai ereditato dall'impostazione di Olivier Père e cosa invece hai voluto introdurre del tuo personale approccio al cinema? 

Il festival conserva la sua struttura d’insieme, il nome e il taglio delle sezioni. Ho ereditato una manifestazione in ottima salute ben riconosciuta a livello internazionale, il che ha facilitato non poco il mio lavoro. Poi, i festival sono fatti dai film e questi vengono selezionati in base al gusto e alla sensibilità di chi li fa. Penso che nel programma di quest’anno si potrà scorgere la mia attenzione a quei film e quei registi che non si lasciano richiudere in definizioni preconfezionate, che sperimentano attraverso il cinema forme nuovo di racconto del mondo. Che si chiamino Kurosawa o Bressane, Herzog o Iosseliani, lo stesso Cukor a cui dedichiamo la nostra grande retrospettiva è un autore meno semplice e uniforme di quanto lo si è descritto. 

 

La Retrospettiva su George Cukor è stata il primo evento della tua gestione ad essere annunciato. Perché questa scelta?  E che tipo di lavoro organizzativo ha richiesto, soprattutto nella reperibilità delle copie?

George Cukor chiude un viaggio che il festival ha intrapreso all’interno del cinema hollywoodiano classico. Dopo Lubitsch, Minnelli e Preminger, mi sembrava che mancasse un tassello ad una visione d’insieme su questa fabbrica di sogni. Cukor è uno dei registi che ha incarnato e raccontato Hollywood dall’interno. E’ un grande direttore attori (e non solo di attrici), ma anche qualcuno che ha saputo far sorridere senza far scadere l’intelligenza dello spettatore. Il che mi pare – oggi soprattutto – una cosa non trascurabile. 
Il curatore Roberto Turigliatto insieme al team composto da Olmo Giovannini e Iria Lopez hanno svolto un lavoro formidabile, tutti i film firmati da Cukor saranno presenti in ottime copie, talvolta nuove per l’occasione.  La scelta da parte del prestigioso Lincoln Centre di New York di riprendere la retrospettiva e le copie da noi proiettate è un attestato inequivocabile di tale risultato.

silvio orlando in La variabile umanaDalla presenza di Pippo Delbono in Concorso all'omaggio a Sergio Castellitto all'evento legato al documentario di Andrea Segre su Vinicio Capossela, qual è lo sguardo di Locarno sul cinema italiano contemporaneo?

A guardarla d’insieme è una compagine ben assortita: a far da apripista c’è Sergio Castellitto, un attore-regista molto noto nel nostro paese, ma capace di oltrepassare i confini nazionali e imporsi all’estero, c’è poi un documentario che attraverso un testimone d’eccezione (Vinicio Capossela) racconta una tradizione musicale ribelle e un paese messo alla frustra dalla crisi (la Grecia), un grande artista di teatro (Pippo Delbono) che da alcuni anni ha imbracciato un videofonino per raccontarci le sue emozioni e il nostro paese. E un esordio davvero originale (A special need) che ci racconta del desiderio del tutto normale di un ragazzo con problemi ad avere una compagna di vita e del modo – del tutto straordinario – in cui i suoi compagni cercano di rispondergli (portandolo in Germania, dove esistono case di piacere per disabili). E infine, dopo anni di assenza, anche un film in Piazza Grande. La variabile umana di Bruno Oliviero, che uscirà nelle sale italiane a fine agosto, è un racconto che ci ha appassionato perché sulle performance di Orlando e Battiston e di un’attrice esordiente di cui sentirà presto parlare (Alice Raffaelli)  e sulla falsa riga di un’indagine descrive una città (Milano) e una frattura che abita le nostre società, comunica quell’incomunicabilità che regna tra genitori e figli. 

 
werner herzogNegli anni il Festival ha contribuito a lanciare autori poi affermatisi nel panorama internazionale. Quest'anno su quali nomi del Concorso non ancora conosciuti ti sentiresti di scommettere?

Il concorso Cineasti del presente è quasi interamente dedicato a opere prime, qui fare un nome significa penalizzare gli altri. E nel Concorso internazionale ci sono opere seconde che rivelano già una grande maturità, penso all’incursione nel genere horror fatta dal duo belga Forzani-Cattet (L’étrange couleur des larmes de ton corps) o al film di Destin Cretton vincitore del Sundance (Short Term 12) dove brilla la sempre più brava Brie Larsson. Uno dei film che senza dubbio farà parlare di più – temo per ragioni extracinematografiche – è Wetlands, scommessa di adattare un romanzo scandalistico sul grande schermo. 

 
Gli omaggi a Herzog, Iosseliani e a tanti interpreti diversi, dalle muse del cinema europeo a un'icona di genere come Christopher Lee, danno la percezione di un festival dai riferimenti eterogenei. Quali sono state le linee guida per la sezione Histoire(s) du cinéma?

Una delle linee di questo festival è cercare di far dialogare il cinema del passato con quello del futuro. Di qui la volontà di pensare a questa sezione laterale come il centro della programmazione. Mostrare uno degli innumerevoli film interpretati da Christopher Lee o da Faye Dunaway o da Jacqueline Bisset, dedicare un omaggio al compianto Paulo Rocha o ad Anna Karina far vedere un film restaurato fa parte di quel progetto di preservazione della memoria di quest’arte così giovane e così votata all’oblio.

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