LOCARNO 66 – George Cukor, story ed acting e nasceva la commedia sofisticata.

george cukor

Il retroterra che comprende il teatro sia recitato, sia scritto, gli ha consentito di guardare gli avvenimenti della vita che metteva in scena nei suoi film attraverso una speciale lente letteraria. La retrospettiva del festival di Locarno diventa l’occasione per ricostituire un legame con classicità di cui è stato autorevole e fondamentale rappresentante.

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George CukorIl suo nome in ungherese significava “zucchero” e quasi come in un presagio il cinema di George Cukor sembrava sempre cosparso di una spolverata, mai esagerata, della parte dolce della vita. La sua commedia sofisticata ha segnato la storia di Hollywood, ma anche quella del cinema. Regista raffinato e colto ha centrato la sua attenzione sui personaggi femminili dirigendo le più grandi attrici che hanno fatto grande il cinema. Da Katharine Hepburn, sua grande amica anche nella vita a Judy Garland, Greta Garbo, Sofia Loren e Anna Magnani, e ancora Jean Harlow, Marilyn Monroe, Judy Holliday, Audrey Hepburn, Joan Crawford, Rita Hayworth, Maggie Smith, Ingrid Bergman, Angela Lansbury, Jacqueline Bisset e Candice Bergen.

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Quest’anno il festival di Locarno gli dedica una retrospettiva completa.

Aveva innato il senso dello spettacolo e già da ragazzino organizzava spettacoli per i suoi coetanei. Era ebreo ungherese, di famiglia agiata e i suoi avrebbero voluto farne un avvocato, ma il desiderio di lavorare nel mondo dello spettacolo gli fece abbandonare gli studi di giurisprudenza. Dopo un’esperienza nel teatro, fu cooptato dal cinema.

Il suo esordio risale al 1930 quando girò tre film come co-regista: Grumpy, con Cyril Gardner, The virtuous sin con Louis Gasnier e The royal family of Broadway ancora con Cyril Gardner. Dopo questi l’esordio vero e proprio, nel 1931, con Il marito ricco. 

Cukor è un regista solido, vecchio stile, con un bagaglio culturale importante, un retroterra che comprende il teatro sia recitato, sia scritto e questo proviene dalla sua cultura che gli ha consentito di guardare gli avvenimenti della vita, quelli che Margherita Gauthiermetteva in scena nei suoi film, attraverso una lente speciale, quella letteraria. Il suo cinema, infatti, trae origine, per gran parte da testi teatrali o da opere della letteratura. Ma George Cukor non si è mai considerato un “autore” nel senso in cui lo ha inteso la critica francese degli anni ’60. Come molti suoi colleghi di quell’epoca l’importante non era fare arte con il cinema, ma riuscire a fare un buon film. Si trattava di spettacolo e lo spettacolo si rivolgeva, all’epoca, a milioni di persone ed è per questo che era una cosa seria. Proprio questa consapevolezza trasformava quegli autori in registi e quei registi in artigiani, come Cukor amava definirsi. Lavorare dentro i meccanismi di una fabbrica dello spettacolo comporta, con i dovuti distinguo, gli stessi problemi che pone il lavoro in serie. L’ambiente di Hollywood, ebbe a dire Cukor, poteva essere schifoso. Questi temi hanno animato alcuni suoi film: What price Hollywood (1932) e in è nata una stella del 1954, che ne è il remake con l’interpretazione di Judy Garland. Un regista, Cukor, che era dotato di grande senso dello spettacolo e di grandi capacità di direzione sul set. Sapeva mantenere l’ordine e la disciplina. Resta esemplare a questo proposito il racconto fatto dallo stesso regista ad Ermanno Comuzio nell’intervista del 1982 (in Cineforum n. 220, dicembre 1982). Durante la direzione di Donne del 1939 le protagoniste Joan Fontaine, Rosalind Russel, Joan Crawford, Paulette Goddard e Norma Shearer, un quintetto da non sottovalutare che avrebbe fatto a pugni per un primo piano in più o una priorità sui manifesti, furono tenute a bada da Cukor che così sintetizza il racconto: Le redini le tenevo io e a nessuna di loro ho permesso di fare la primadonna. Ho tenuto il polso fermo. Nessun capriccio con me…

Per molti Cukor resta il regista amico delle donne e se un po’ era vero, è altrettanto vero che la definizione che lo aveva gratificato in gioventù, non gli piaceva più. Era forse stanco di un’etichetta che limitava il senso di una carriera e rivendicò il lavoro che aveva svolto con attori del calibro di Spencer Tracy, John Barrymore e James Mason.

La sua versatilità gli permetteva di spaziare da un genere all’altro: la commedia moderna, il film in costume, ma sempre dentro dei precisi canoni di un cinema che guardava alla commedia sentimentale. Cukor, nonostante le critiche che muoveva alla Hollywood dello star system, faceva parte pienamente di quel mondo, ne rispettava i meccanismi e sapeva come muoversi. Curava le pubbliche relazioni ed erano famose le sue feste del sabato sera, che si protraevano fino al mattino successivo. Gli ospiti erano ricevuti nella sua grande villa famosa per avere una piscina senza il riscaldamento dell’acqua.

Sylvia ScarlettEra un convinto assertore della separazione dei ruoli all’interno del cinema, lasciava scrivere le sceneggiature agli specialisti, spiegava soltanto i risultati che voleva ottenere. Diceva sempre che un film lo interessava se vi era alla base una bella storia e gli attori giusti per interpretarla. Story  ed acting riassumeva il suo credo nel cinema. Proprio su queste fondamenta sono nate le sue opere più famose legate alle attrici e agli attori rimasti famosi anche per quei film: Il diavolo è femmina del 1935, commedia sul travestitismo e l’inganno con l’impareggiabile Katharine Hepburn, Margherita Gauthier (1936) con Greta Garbo, Incantesimo (1938) sempre con Katharine Hepburn e Cary Grant, Scandalo a Filadelfia (1940) con la Hepburn, Cary Grant e James Stewart, Angoscia  (1944) con Ingrid Bergman, La costola di Adamo (1949) con l’inossidabile coppia Spencer Hepburn, Nata ieri (1950) con l’oscar a Judy Holliday, My fair lady (1964) con Audrey Hepburn e fino all’ultima, Ricche e famose (1981), con Jacqueline Bisset e Candice Bergen che riassume la sua poetica sempre raffinata. Tutti film calibrati su dialoghi eleganti, secondo le regole canoniche della commedia sofisticata di cui fu massimo esponente, su una ricerca della messa in scena aiutata da una grande esperienza di lavoro dentro i capannoni degli studios.

Un capitolo a parte meriterebbe il racconto del suo controverso e fallimentare rapporto con Via col vento. Un film di cui avrebbe dovuto firmare la regia ma che gli fu tolto di mano per dissapori con Clarke Gable che temeva una eccessiva valorizzazione delle parti femminili (Vivian Leigh e Olivia de Havilland) a scapito di quelle maschili. Cukor non amava parlare di quel film e con una punta mai celata d’orgoglio diceva che le due attrici protagoniste andavano da lui per i provini.

George Cukor appartiene davvero ad un’altra epoca, quella del cinema che sapeva coniugare l’industria con lo spettacolo, mai banale nonostante si trattasse di una catena di montaggio sempre in attività.

La retrospettiva di Locarno, completa e imperdibile diventa un’occasione unica per ricostituire un legame a volte spezzato, a volte interrotto con un cinema che resta dentro una inamovibile classicità, punto di riferimento necessario e di cui George Cukor è stato autorevole e fondamentale rappresentante.

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