LOCARNO 66 – La solitudine del potere per Thomas Imbach e Jean-Stéphane Bron

l'experience blocher

Il dramma in costume Mary Queen of Scots e L'experience Blocher, ottimo documentario sul politico svizzero, non potrebbero apparire più distanti. Ma li accomuna una analoga riflessione sulla condizione solitaria del potere su cui i due autori lavorano utilizzando voice over e lettere aperte, quasi come i protagonisti malickiani.
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mary queen of scots jean-stephane bronDagli scontri fra Cattolici e Protestanti al Consiglio Federale elvetico la strada è lontana. Si devono attraversare coppoliani "oceani di tempo", ma il cinema è in grado di unire nella stessa giornata il dramma in costume Mary Queen of Scots e il documentario sul politico svizzero L'experience Blocher, che non potrebbero apparire più diversi per stile e formato, eppure risultano affini per la riflessione sulla condizione solitaria del potere su cui riflettono tanto Thomas Imbach quanto Jean-Stéphane Bron.

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I due registi svizzeri si servono di voice over e lettere aperte, quasi volessero imprimere ai loro personaggi una statura malickiana: Imbach racconta la regnanza di Mary Stuart e la sua escalation sanguinolenta come il duro racconto di formazione di una giovane donna soffocata dal confronto a distanza con la cugina Elizabeth, ammirata e temuta, cui sono indirizzate le lettere recitate fuori campo dalla voce della protagonista Camille Rutherford (già vista in Holy Motors). 

Se il film non appare molto riuscito per l'appiattimento sul privato, che alla lunga dà vita a un tono da soap opera, senza distaccarsi troppo dal livello delle produzioni televisive che rivisitano grandi periodi storici con una pruriginosa ottica contemporanea, risulta però interessante questo lavoro, discontinuo, sul personaggio di Mary, a confronto con una solitudine sempre più profonda indotta dal ruolo di potere. Le parole in fuori campo della protagonista segnano questo scollamento tra l'esterno, delegato all'immagine, e l'interiorità del personaggio, espressa dal suono, diretta emanazione della coscienza di questa tormentata protagonista. 
Se solo Imbach avesse osato portare avanti questa sua intuizione, invece di piegarsi a una narrazione convenzionale, si ha l'impressione che Mary Queen of Scots avrebbe avuto tutto un altro impatto.

 

l'experience blocherAnche Jean-Stéphane Bron presta particolare attenzione al lavoro sul suono. Un documentario, il suo, che ha attirato le polemiche della stampa svizzera, legate alla controversa figura del politico a capo dell'Unione democratica di Centro. Il documentario di Bron è senz'altro superiore al dramma di Imbach per il tentativo, riuscito, di cercare una nuova forma di racconto, con soluzioni cinematografiche, che si rifanno tanto a modelli classici quanto contemporanei.

 

Bron approccia l'uomo dietro il politico adottando il tono dell'inchiesta privata e frammentaria fatta da Welles per il suo 'cittadino Kane'. L'inquadratura identica sul cancello della sua casa d'infanzia, ripetuta sia nell'incipit che nel finale, equivale al No Trespassing di Xanadu, inviolabile limite nell'uomo che la macchina da presa oltrepassa.

Parte un viaggio in senso metaforico e letterale: la macchina che trasporta Blocher, ripreso come il performer di Holy Motors, o l'Eric Packer di Cosmopolis (che col passare del tempo appare sempre più speculare al film di Carax…) attraversa il Paese per le varie tappe della campagna elettorale.

Durante questi tratti di strada, una volta cessate le telefonate del politico o i suoi dialoghi con la moglie, trova spazio la voce fuori campo dello stesso Bron, che si interroga sul suo protagonista, indirizzandosi direttamente a lui, ponendogli delle domande a cui sarà eventualmente il film a dare risposta. 
E alla fine, dopo averne mostrato ombre e luci, lo abbandona alla sua solitudine, di fronte alla galleria di quadri privata, colto di spalle come Il Divo sorrentiniano, con la macchina da presa che, finalmente, chiude il cancello e si ritrae.

 

 

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