#Locarno68 – Diario del Concorso: Parola d’ordine White

White come James, protagonista del dramma dell’americano James Mond; white come la luce diurna che non cancella le notti infinite di Dark in the White Light, dello srilankése Vimukthi Jayasundara

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Un colore per due film: White come James, protagonista del dramma dell’americano James Mond, su un trentenne newyorkese e il rapporto con la madre malata, una superba Cynthia Nixon, ben lontana dalle atmosfere glamour di Sex and the City. White come la luce diurna che sembra non riuscire a cancellare le notti infinite di Sulanga Gini Aran, Dark in the White Light, dello srilankése Vimukthi Jayasundara. Il Concorso di Locarno ci ha abituato a intessere legami tra universi lontani e apparentemente non comunicanti, che si rivelano a sorpresa uniti da inquietudini analoghe, seppur rapportate a contesti differenti.

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Entrambe le opere ruotano attorno alla morte, da cui è incuriosito l’aspirante medico di Dark in White Light, che tenta persino di impiccarsi per capire cosa accade a un corpo morente; e che aspetta, al termine del viaggio, la madre di James, attanagliata da un cancro che si espande e logora i tessuti e la mente.

dark in white lightSe Mond indaga questo passaggio aderendo ai corpi, con una macchina a spalla nervosa, sempre dietro ai suoi personaggi, quasi soffrisse con loro escludendo tutto il resto, compresa la città, ridotta a un insieme di luci fuori fuoco, Jayasundara ne prende invece le distanze, spiando da lontano questi personaggi, con calcolata lucidità.

Dentro e fuori dalla materia: Mond infiamma il suo materiale, superando i limiti di una messa in scena che appare inizialmente troppo fedele agli standard indie attraverso una sincerità disarmante: “Ricordi quella scatola da 96 colori che avevi da piccolo?  Io sono come te, noi andiamo molto in alto o scivoliamo molto in basso. Ma dobbiamo ricordare che in mezzo ci sono tantissime sfumature. A volte si deve vivere nel mezzo”. È lo struggente lascito della madre al figlio, dopo una nottata lunghissima e terribile, in cui si sopravvive al corpo solo lavorando con la fantasia. Sognando un futuro a Parigi, una famiglia, il Louvre, il mercato dei fiori.

Ed è questo afflato di cui è privo Dark in the White Light, che spreca il potenziale narrativo di una morte pervasiva, insita nel folle delirio di un chirurgo innamorato del sangue e degli umori corporei, nei suoi detour notturni di sesso e violenza, dietro a scelte estetiche e teoriche – “Tutti raccontiamo delle storie” – commentano i quattro uomini nella cornice dell’epilogo, che raffreddano inesorabilmente l’esperienza visiva.

 

 

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