#Locarno68 – “Il cinema è controllo dell’anarchia”, Incontro con Michael Cimino
Ecco il Pardo d’Onore di questa Locarno 68. Non è una conversazione con il pubblico quella di Michael Cimino, ma un vero e proprio one man show di travolgente sincerità
Non è una conversazione con il pubblico quella di Michael Cimino, ma un vero e proprio one man show. “Non sono un insegnante, non posso stare seduto dietro una scrivania” dice entrando, sedendosi direttamente sul desk dello Spazio Cinema e impadronendosi del microfono.
Ed è talmente un fiume in piena, impetuoso come certi suoi protagonisti, che il modo migliore di restituire il flusso delle sue parole è cercare di riportarle integralmente, per quanto possibile.
Attacca subito: Non so dire come ho imparato a fare cinema. Non ho frequentato una scuola, né sono un cinefilo come Tarantino, cresciuto dentro i videostore, capace di ricordare qualunque titolo. Io sono un architetto e l’architettura è il controllo e l’organizzazione dell’ambiente. Il cinema invece è il controllo dell’anarchia.
Per me è un mistero capire come ho fatto quello che ho fatto, il primo film (Thunderbolt and Lightfoot, 1974) è stata una sfida. Ero venuto in California perché ne amavo lo stile di vita, il surf, le corse in moto nel deserto. A quel tempo giravo spot pubblicitari con belle macchine e belle donne, due cose che mi sono sempre piaciute. Mi hanno detto che se volevo avere successo dovevo scrivere un copione e convincere una star di Hollywood a interpretarlo. Io obiettai che non sapevo scrivere e mi dissero “Farai bene a imparare in fretta“.
I racconti migliori vengono dai personaggi. Cosa ricordate di Anna Karenina o Emma Bovary? Cosa vi viene in mente pensando a Via col vento? Sono loro, i personaggi. Tutto parte da lì. Una volta un critico mi invitò a casa sua e mi chiese come mi fosse venuta in mente quella folle scena dei conigli in Thunderbolt. Beh, nessun mistero, era una cosa che avevo visto.
Tutto viene sempre dalla vita, i migliori film nascono dalla realtà, non dal vedere altri film. Quelli li chiamo zero act movies e invecchiano molto velocemente, già dopo due anni sembrano datati, perché non c’è alcuna verità nei personaggi e nelle situazioni che raccontano.
Se guardi dentro di te abbastanza a fondo troverai sempre nuovi personaggi. Sono i personaggi che danno ispirazione e non le idee. Non mi è mai interessato fare film politici.
Anche de Il cacciatore quello che volevo raccontare erano gli effetti del trauma della guerra su una famiglia, perché il gruppo di amici è di fatto una famiglia. Non nel senso letterale del nucleo familiare, ma quel vincolo con le persone che cerchi e scegli.
E il film resiste al tempo. Perché quello che cambia con gli anni sono i luoghi dei conflitti, le armi, che si fanno piu sofisticate, ma l’orrore e il dramma delle persone resta lo stesso.
Su Peckinpah, a cui Locarno ha quest’anno dedicato la retrospettiva completa, dice: Conoscevo Sam, per un po’ abbiamo avuto lo stesso assistente. He was a crazy, talented man. E’ molto triste quello che gli è accaduto alla fine, i suoi problemi nel fare film. Sam amava il West.
Ma c’è spazio anche per altri riferimenti a grandi film e grandi uomini di cinema, uno in particolare molto caro a Sentieri Selvaggi…
Non mi interessa quello che pensano di me. Negli anni mi hanno tacciato di qualunque cosa. Il primo film era omofobico, il secondo fascista, il terzo poi marxista e così via. Ma i critici che stroncarono i miei film ora forse sono morti, I’m still here.
Ricordate La fonte meravigliosa di King Vidor, con Gary Cooper, in cui lui è un architetto a cui viene impedito di realizzare la sua opera?
C’è una scena in cui sta guardando questo edificio che non ha potuto costruire con uno sguardo pieno di rammarico e frustrazione. Gli si avvicina un uomo, che gli dice: “Sono io che mi sono opposto alla tua opera, che ho voluto la tua rovina. Cosa provi?” E lui semplicemente lo guarda, e va oltre: “Io non ti penso“.
L’altro grande uomo di cinema è John Ford e in particolare l’uso che fa della Monument Valley in The Searchers: “Qualunque film girato lì dopo Ford sarebbe stato un fallimento. Ha saputo trasformare cinematograficamente il paesaggio, che nelle sue mani diventa uno spazio enorme, mitico. Quel luogo gli appartiene.