#Locarno68 – “La realtà ha trasformato il film”, Pietro Marcello su “Bella e perduta”

il regista di La bocca del lupo racconta il suo nuovo film, in Concorso al Festival di Locarno. Un picaresco viaggio dalla Terra dei Fuochi all’Etruria, attraverso un’Italia “bella e perduta”

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È decisamente in salute il cinema italiano di Locarno68. Dallo Shakespeare nei campi rom di Romeo e Giulietta di Massimo Coppola, progetto maieutico quasi alla Alberto Manzi, al viaggio vicino/lontano di I sogni del lago salato di Andrea Segre, l’Italia ha percorso vie inedite ed efficaci per raccontarsi in un momento certamente difficile, che sembra però ispirare i nostri autori.

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Ne abbiamo avuto la conferma questa mattina con il film in Concorso, l’ottimo Bella e perduta di Pietro Marcello, finora una delle migliori, se non la migliore, tra le pellicole in lizza per il Pardo d’Oro.

Operazione ambiziosa, che sembra rilanciare il suo stesso cinema con grande spirito d’avventura e determinazione, fa notare al regista il selezionatore Lorenzo Esposito. “Per fare un film la determinazione è fondamentale, e non a caso la nostra società di produzione si chiama Avventurosa. Il progetto si è sviluppato da solo, doveva essere un’altra cosa, un viaggio su e giù per l’Italia ispirato all’opera di Piovene. Un viaggio che abbiamo cominciato dalle nostre origini, dalla Campania della Terra dei Fuochi, basandoci sulla storia di Tommaso. Ma la sua morte ha di fatto imposto una trasformazione al film, spingendoci a raccontare lui e la sua storia come una favola moderna”.

Tommaso è Tommaso Cestrone, detto l’Angelo di Carditello, pastore che ha dedicato gran parte della sua vita a conservare in buono stato la Reggia borbonica, “bella e perduta”, dimenticata dallo Stato. Marcello e lo sceneggiatore Maurizio Braucci partono da qui per imbastire la loro fiaba, con un Pulcinella che intraprende un viaggio picaresco per trarre in salvo Sarchiapone, il bufalo allevato da Tommaso, i cui pensieri sono affidati alla voce di Elio Germano.

All’interno della fiaba trovano però spazio anche inserti di una realtà dura come quella del territorio prescelto: una Terra dei Fuochi dilaniata dagli scontri Stato-Camorra. Per Marcello era “inevitabile parlarne per raccontare quei luoghi; sebbene per evitare di diventare un film d’inchiesta a un certo punto abbiamo dovuto escludere molto materiale. Al centro del film resta il rapporto uomo-natura. L’uomo si ammala mentre la natura si rigenera. Anche se l’industrializzazione selvaggia che quella terra ha subito negli ultimi cinquant’anni non ha lasciato nulla. L’Italia è bella. Ma c’è una differenza tra il territorio e il suo popolo, tra Italia e italiani. L’Italia è ancora bella, gli italiani sono cambiati”.

Il film ha dentro molto cinema. Dal Bresson di Au Hasard Balthasar a Uccellacci uccellini di Pasolini.
Ma sono riferimenti a cui, pur riconoscendone il valore e l’estremo rilievo – “anche nella mia formazione” – Pietro Marcello non ha pensato nella realizzazione del film, molto più legato alla letteratura, con le poesie citate dai suoi pastori, e alla Commedia dell’arte e alla cultura etrusca alle quali è in parti eguali ispirata la figura di Pulcinella. “Il suo abito bianco è in origine il lenzuolo che avvolge i morti. E prima di essere trasformato nel servitore furbo della Commedia dell’arte è lo psicopompo, il tramite tra i vivi e i morti, di cui comprende il linguaggio”, spiega Braucci. “Il fatto che questa figura sia rappresentata in questo modo nelle zone etrusche dove finisce il nostro viaggio è una delle tante fortunate coincidenze di cui il film ha beneficiato durante la sua realizzazione”.

Ma quale tipo di pubblico immagina Pietro Marcello per quest’opera ricca e complessa, così lontana dalle formule che invadono le sale? La domanda è di quelle che spiazzano l’autore, che lo ammette: “Non sono preparato a rispondere. Nel fare il film non ho pensato al pubblico ma solo a quello che volevo raccontare. Spesso si dà la responsabilità al pubblico, ma gli spettatori vanno educati. Prima c’era una televisione di valore, grazie alla quale hanno persino imparato a parlare la stessa lingua“.

“E poi – interviene Paola Malanga, produttrice del film per RaiCinema – è giusto che un artista non si ponga questo quesito. Siamo noi a dover fare in modo che il film venga visto il più possibile. Sicuramente in passato ci sarebbe stato un bacino di utenza più ampio ma credo che questo film abbia un suo pubblico”.

 

 

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