#Locarno68 – La coerenza nella crescita

Un festival sempre più necessario che riesce a coniugare con semplicità ricerca e spettacolarità. Mantenendo intatti i punti forti e alzando il livello del Concorso e di Piazza Grande

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Diventa sempre più necessario un festival come Locarno. La terza edizione diretta da Carlo Chatrian ha infatti mostrato di mantenere intatti quelli che già erano i punti forti (le retrospettive, gli incontri), potenziando decisamente sia il livello del Concorso Internazionale sia l’appeal di alcune anteprime statunitensi.

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Nel primo caso alcuni nomi non hanno tradito le attese come Andrzej Zulawski con Cosmos, Otar Ioseliani con Chant d’hiver. Inoltre l’unico film italiano in competizione, Bella e perduta di Pietro Marcello ha fatto molto parlare di sé ricevendo anche i pubblici apprezzamenti di Marco Bellocchio e la curiosità di Mario Martone. A sua volta il vincitore del Pardo d’oro, Hong Sang-soo, è stato presente con uno dei suoi film migliori della sua fitta filmografia, Right Now, Wrong Then, con Night and Day forse la summa di un cinema che si è sempre mantenuto ad atissimi livelli. E tra le scoperte ci sono Happy Hour del giapponese Hamaguchi Ryusuke, 317 minuti sul filo di una persistente malinconia, alienante e appassionato con cui le quattro protagoniste sono state premiate con il Pardo per la migliore interpretazione femminile e l’intimo O futebol di Sergio Oksam.

right now wrong thenIn uno sguardo che ha guardato perifericamente a nomi riconosciuti e nuove tendenze attraverso una fitta ricognizione geografica, lo scenario di Piazza Grande – che ha colpito Walter Murch per la grandezza dello schermo – ha ospitato anche le attese anteprime come Ricki and the Flash di Jonathan Demme, Southpaw di Antoine Fuqua, Trainwreck di Judd Apatow (tre nomi che per Sentieri sono cineasti imprenscindibili) più l’ultimo atteso film Me and Earl and the Dying Girl di Alfonso Gomez-Rejon di provenienza Sundance.

ricki and the flashIn più gli incontri, masterclass approfondite, quasi lezioni di storia del cinema. Partendo dall’ultima con Marco Bellocchio dove è stata ripercorsa la genesi e i segni che ha lasciato un film come I pugni in tasca, presentato nella versione restaurata a 50 anni dalla realizzazione. Passando soprattutto per Michael Cimino, evento incredibile, di quelli che lasciano per sempre il segno in tutta la storia del festival. Passando per Bulle Ogier, Edward Norton ed Andy Garcia, fino a Walter Murch che ha tenuto una lezione di tecnica del montaggio. Quindi i diversi volti, le diverse mutazioni del cinema. Un’edizione ricchissima, che meriterebbe di avere anche più visibilità di quella che gli è stata data dalla stampa. Caratterizzata anche dalla monumentale retrospettiva su Sam Peckinpah che comprendeva anche i suoi lavori televisivi e dal passaggio del folgorante corto di Mario Martone Pastorale cilentana, 19 minuti pensate per le pareti dell’Expo che frantumano tutte le barriere del tempo e dello spazio della proiezione. Quindi, della visione.

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