#Locarno69 – Militanza, cinema e guerra: Dao Khanong e Comboio de sal e açucar

Una speculare riflessione sul cinema troppo cerebrale realizzata dalla cineasta tailandese Anocha Suwichakornpong, la guerra civile in ;onzambico mostrata con segni thriller dal brasiliano Acevedo

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La guerra, la militanza politica, il cinema collegano il Concorso Internazionale con Piazza Grande. In competizione Dao Khanong (By the Time It Gets Dark) della cineasta tailandese Anocha Suwichakornpong è una rifessione sul cinema e sulla memoria, sul tempo e sulla casualità degli eventi. Attraversa giochi di doppi: una regista e la sua musa, una ex studentessa militante degli anni ’70, una studentessa che cambia continuamente lavoro, un attore e un’attrice che conducono esistenze collegate. Il passato prende forma come ricostruzione (il set con i ragazzi legati e le torture dei soldati), il film si costruisce proprio nel suo farsi (la fissità della camera durante l’intervista, la luce che cambia), come se non ci fosse piè la barriera tra ciò che si sta girando e montando. Carico di simbolismi (gli oggetti), la tv come specchio, il film lega inquadrature senza una volontaria soluzione di continuità, creando continui depistaggio in una narrazione in continua metamorfosi che cambia respiro, forma, tempo, dalla preghiera buddhista alle improvvise accelerazioni in discoteca. Il cinema diventa quasi uno specchio, una forma di autoconfessione, una dichiarazione teorica. Un metodo che potrebbe richiamare Hong Sang-soo ma senza la libertà e la gioia del cineasta coreano. La regista, che si è affermata con il primo lungometraggio Mundane History (2009) ed è stata già presente a Locarno con il corto Overseas (2012) presentato ai Pardi di domani, dirige un’opera al limite del narcisismo, eccessivamente pensata, compiaciuta in un cinema che si riflette ma si avvita pure su se stesso, segnato quasi tutto dalle geometrie e dalle traiettorie già indicate nell’inquadratura in preproduzione. Con dettagli sui personaggi che si accumulano e si annullano in un meccanismo che vuole apparire denso ma in realtà si muove solo sulle superfici.

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Comboio de sal e açucarIn Piazza Grande è stato presentato Comboio de sal e açucar del cineasta brasiliano Licínio Azevedo è ambientato durante la guerra civile in Monzambico del 1988 che sta distruggendo il paese. Un treno collega Nampula al Malawi. Molti sono disposti a tutto pur di scambiare il sale con lo zucchero. Molte donne si devono difendere dalla rabbia dei soldati. Nascono però anche delle storie d’amore come quella tra una ragazza e un tenente. Forse una specie di western (campi lunghi, sparatorie), un viaggio’aldrichiano’ che richiama L’Imperatore del Nord, un thriller dove il buio, gli atti di sabotaggio e la materializzazione dell’Inferno (la testa attaccata al palo) creano un’efficace tensione. Acevedo, che ha adattato il suo romanzo omonimo, non riesce a trovare però un equilibrio tra l’azione e i momenti piè intimi (il bagno nel fiume). Comboio de sal e açucar procede quindi per blocchi narrativi, alcuni potenti, altri invece segnati dalle scorie di una recitazione quasi di stampo teatrale, esibita negli scontri, nella caratterizzazione dei personaggi, nella dinamica dei conflitti. Acevedo non è riuscito a liberarsi narrativamente del suo libro, non trova il necessario coraggio di una sintesi per un film che poteva avere anche dei segni carpenteriani. Che sono quelli più interessanti. Di un film di viaggio che sembra chiuso, claustrofobico, senza possibilitrà di uscita. Dove la guerra è solo un pretesto per un viaggio che appare senza ritorno.

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