#Locarno69 – Teo-neol (The Tunnel), di Kim Seong-hun

Un’idea di cinema semplice ed essenziale per il terzo lungometraggio del regista creano che è un concentrato di azione pura. In Piazza Grande

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A volte basta una sola idea buona che tante confuse. È il caso di Teo-neol (The Tunnel), terzo lungometraggio dopo l’ottimo A Hard Day. Anche stavolta c’è un uom che sembra lottare da solo contro tutto e tutti. In The Tunnel il protagonista è un uomo che sta tornando a casa dalla moglie e la figlia che lo aspettano e che resta intrappolato in una galleria costruita male. In A Hard Day invece c’era un detective al centro della vicenda in una giornata in cui gli accadeva di tutto e che culminava con la morte del passante che aveva investito.

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teo-neolAncora una volta un puro concentrato d’azione. Un prologo brevissimo per entrare poi nel cuore della vicenda. Tra speranze e disperazione, il tunnel dove si trova il protagonista appare impenetrabile. Kim Seong-hun ha un’attenzione notevole ai dettagli dalle bottigliette d’acqua alla galleria che si sta scaricando. In un continuo contrasto tra il dentro e il fuori, dove gran parte della comunicazione avviene attraverso un telefonino che si sta scaricando progressivamente, appare costruito su uno schema tra Daylight e Quel pomeriggio di un giorno da cani. I notiziari accompagnano la storia, i dialoghi con la moglie (la scena della prima telefonata è uno dei momenti più alti del film) mostrano questa continua alternanza di stati d’animo, la presenza delle autorità suona anche come una critica al sistema di chi ha costruito la galleria. Ma a Kim Seong-hun non interessa tanto fare una parabola sulla società coreana ma puntare dritto alla situazione. Ed ecco che ci sono momenti di sintesì assoluta tra il criollo della galleria e il responsabile dei soccorsi che, per salvarlo, rischia di mettere in pericolo la sua vita e quella del suo assistente. Certo, The Tunnel non tiene tutti i suoi 127 minuti anche perché la velocità con cui aveva abituato, soprattutto all’inizio , è impressionante. Ma nelle ellissi temporali che scandiscono i 35 giorni in cui è rimasto lì dentro, c’è un’idea di cinema semplice ed essenziale.

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