#Locarno70 – Gli Asteroidi, di Germano Maccioni
La provincia industriale viene raccontata attraverso gli occhi dei figli della crisi. Traiettorie tratteggiate a favore di una discontinuità che è degna comunque di interesse. In concorso.
Gli asteroidi sono pianeti mancati, per questo odiano la Terra ed ogni tanto tentano di distruggerla. Questo almeno è quello che pensa Cosmic, personaggio stravagante e chiave di lettura di Asteroidi dove i protragonisti sono invece Pietro e Ivan. Dicianovenni confinati nella pianura padana della crisi econimica che si ritrovano ad essere coinvolti in un furto di candelabri dentro ad una chiesa, proprio mentre un corpo celeste minaccia di distruggere il pianeta. Anche se potrebbe sembrare lo scenario di un film pre-apocalittico, l’esordio alla regia di Germano Maccioni è invece denso di un realismo che trova le sue fondamenta proprio nel territorio. Le lunghe distese pianeggianti contrapposte ai luoghi chiusi di capannoni abbandonati fanno infatti da cornice all’irriquietezza da provincia industriale dei due giovani che si sentono, appunto, asteroidi destinati a non essere mai pianeti.
Il rifiuto della fabbrica dei padri a favore di una vita altrove, possibilmente privata dai debiti e dalla malavita, li rende vulnerabili alla distruzione di se stessi e degli altri. Non è un caso che i furti si svolgano dentro ad una chiesa, la quale infatti si tramuta in metafora chiara di una desacralizzazione dei simboli tradizionali, capaci, ai loro occhi, di portare solamente ad una desertificazione morale ed economica. Meglio guardare le stelle e rifugiarsi in una stazione radioastronimica, la stessa diventata cosi celebre tra i cinefili grazie alla Monica Vitti di Deserto Rosso. Scienza e religione, dunque, mentre tutti i personaggi vagano nello spazio. Di fatto non c’è continuità nella regia di Maccioni che sceglie invece di seguire delle traiettorie che durano brevi istanti per poi cambiare direzione. Il risultato sono sequenze dinamiche che non lasciano tempo ai giudizi, anche quando la scrittura sembrerebbe suggerirli, e che si intermezzano da lunghe assenze di dialoghi colmati dalla musica, quella elettronica e quella composta dal gruppo bolognese de Lo Stato Sociale.
Un flusso continuamente ripreso ed interrotto che tro