#Locarno71 – Conversazione con Ethan Hawke

Hawke incontra il pubblico del Festival, dove ha ricevuto il premio l’Excellence Award, per parlare del suo ultimo film da regista, Blaze, e dell’amicizia che lo lega a Richard Linklater

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Nell’incontro con il pubblico di Locarno Ethan Hawke si dimostra molto disponibile, racconta di Blaze, la sua ultima creatura presentata in Piazza Grande, un progetto in cui credeva e per il quale è stato disposto a rinunciare ad alcune importanti proposte di lavoro, sotto la spinta complice della moglie. Dopo un primo investimento sono arrivati gli altri produttori ed il progetto ha preso vita. Già questo racconta testimonia di come Ethan Hawke creda nella educazione, nei risultati che sono il frutto dell’impegno e del sacrificio e derivino dall’amore che si spende ad assecondare quello in cui si crede, azioni utili per raggiungere obiettivi importanti e gratificanti.

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“I giovani hanno una percezione del successo in rapporto con i soldi ed il potere. Io questa percezione non l’ho mai avuta. È difficile fare un’arte bella ovunque uno si trovi, e capire se questa poi interagisca con la società, è una cosa che sfugge dal tuo controllo. Io sono interessato alla riuscita di qualcosa in cui credo. C’è un mito del talento, certo in giro ci sono dei geni, ma non sono molti, è attraverso la disciplina ed il fallimento che si possono ottenere dei risultati. Volevo fare, prendendo l’esempio di Blaze, un film sulla musica, sull’amore e la creatività che può arrivare dall’acqua, dalla terra, facendo l’amore. C’è poi un’altra faccia creativa che nasce dall’oscurità, dal desiderio di essere grande, di essere qualcuno di importante. È interessante comprendere che l’arte possa nascere sia dalla luce che dall’oscurità.”

Una delle essenze della vita artistica secondo Hawke è quella di cercare una guarigione dai nostri incubi, un po’ come i bambini che hanno il desiderio di essere normali, nel corpo e nella mente. Eppure la vera forza deriva da una sorta di incapacità, per ottenere una buona performance devi svelare qualche segreto, devi essere vulnerabile, condividere la tua anima. Parla di anime che fingono di non avere paura, e di come quella finzione crei una menzogna nei rapporti e sul lavoro. Lui come regista preferisce iniettare fiducia nei propri attori, la stessa fiducia che ha ricevuto lui ad inizio carriera, e che ha avuto modo di osservare benissimo nel lavorare con Richard Linklater. Sul set come nello sport la fiducia crea eccitazione ed aiuta a raggiungere buoni risultati.

“La sensazione che devi sentire se sei un attore è la capacità di condividere l’amore. Non c’è una linea pericolosa da attraversare, non c’è un confine, per un attore la linea emotiva è molto sottile, duttile, recitare è un po’ come incantare, sedurre, è qualcosa che ti entra dentro. Poi però devi anche essere capace di lasciarti andare, se sei un attore, la tua vita emotiva è anche il tuo toolkit. Laddove c’è l’amore, lì si cresce, mentre se stai lontano dalla cose che ami cominci a soffrire. Ho scritto questo film perchè mi piaceva e questo mi permetteva di stare vicino alle cose che amo. Volta per volta per decidere il progetto da abbracciare penso a quello che mi piacerebbe di più.”

Il regista confessa invece che non lo fa impazzire partecipare come attore nei film che dirige, anche se a volte è capitato, sempre per delle piccole parti, per paura di perdere un’obiettività di giudizio e potersi invece concentrare a tutto tondo sulle riprese. Come ha pensato di fare per Blaze, che racconta la vita di Blaze Foley, dove ha curato ogni aspetto, reclutando anche dei musicisti senza alcuna esperienza attoriale, con i quali ha corso il rischio, come a volte succede con i giovani, che non fossero presi sul serio dalla troupe, che con le persone meno conosciute hanno poco rispetto. Un rischio che si è assunto scritturando per una delle parti principali un musicista, uno dei migliori amici di Foley, che invece, a differenza di un attore professionista che ne prendesse le sembianze, è sembrato molto più autentico.

“Alla musica penso sempre, questa è un’opera country – western. Nel film ci sono tre percorsi nel tempo, scanditi al ritmo di musica. Il primo è un percorso che parte dalla musica classica, il secondo da quella tradizionale, in cui ugualmente si può trovare tanta storia ed il terzo che è il sentiero del blues. La musica è una capsula temporale per lo spettatore, anche se resta la stessa, una canzone si muove attraverso il tempo. L’America è un paese gigantesco, enorme ed è difficile raccontarlo come un solo paese. Una delle cose di cui non si parla spesso è di questa atmosfera bohémienne che si respira al sud, dove ci sono molti libertari. Al sud c’è tanta eleganza che tende ad essere nascosta.”

Parlando di Boyhood e del suo successo Ethan Hawke confessa di non saperne indicare il perchè questo e non uno dei tanti altri lavori fatti insieme a Linklater abbia raggiunto così profondamente il cuore degli spettatori. Sempre di Linklater racconta di come sia affascinato dalla possibilità della letteratura di gestire il tempo, e di come quel film in fatti sia costruito per celebrarlo, un film che gioca con il pensiero istintivo che debba succedere qualcosa di male, cosa che poi in realtà non avviene. Per concludere svela il suo lato fatalista : Nella vita ci sono alti e bassi, ieri ho avuto questo premio ed ho pensato: adesso arriverà qualcosa di male, la vita è così.” 

 

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