#Locarno72 – Incontro con Song Kang-ho e Bong Joon-ho

Song Kang-ho e Bong Joon-ho incontrano il pubblico del Locarno film festival e parlano del cinema coreano, degli inizi di carriera, di teatro, del loro rapporto di collaborazione ormai ventennale

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L’Excellence Award assegnato all’attore coreano Song Kang-ho è stata l’occasione per portare a Locarno anche il regista Bong Joon-ho, con cui la collaborazione come presenze ed intensità è stata e continua ad essere molto prolifica. Il regista ricorda di aver visto Song per la prima volta nel 1997 quando interpretava il ruolo di un gangster nel film Green Fish di Lee Chang-Dong e di essere rimasto impressionato per l’interpretazione iperrealistica, una tecnica recitativa sviluppata soprattutto grazie all’esperienza teatrale, settore dove Song era già un attore conosciuto ed affermato. Racconta Bong: “Quando scrivevo la sceneggiatura di Memories of Murder pensavo a lui per il ruolo da protagonista, quello che mi preoccupava era sapere se a lui poi sarebbe piaciuta altrettanto. Mentre scrivevo Parasite invece è successa una cosa di rilievo, ad un certo punto c’è una scena imprevista e spiazzante e volevo che risultasse credibile agli occhi degli spettatori. In questo caso sono stato irresponsabile, visto che sapevo che l’avrebbe interpretata Song, che considerata la capacità come attore avrebbe potuto fare qualunque cosa..

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Song è un attore naturale, spontaneo, molto credibile, che sin dall’infanzia desiderava recitare, nonostante fosse cresciuto in campagna, ed aveva una grande ammirazione per Steve McQueen, un apprezzamento che ha avuto un ruolo importante sulla decisione di intraprendere quella carriera. Quindi c’è stato il teatro e la palestra del palcoscenico ed il contatto con il pubblico che richiede un livello di energia molto diverso rispetto al cinema. Song: “Quando lavoro con Bong non preparo nulla, perchè fa tutto lui..(ride). Su di lui potrei dire diverse cose, quella più sorprendente è il suo sguardo penetrante nella società, uno sguardo che si è evoluto rispetto al passato, prende il polso della società in maniera molto umanista. Io volevo lavorare con lui, il suo film d’esordio era stato un disastro al box office, io lo trovavo interessante e divertente. Quando mi ha dato la sceneggiatura di Memories of murder non avevo motivo di rifiutare. Con altri registi discuto molto del mio ruolo e cerco di fare un’associazione in modo intuitivo, in modo che possa risultare spontanea. A livello tecnico Bong preferisce non provare troppo, predilige qualcosa di istintivo, ed anche io lo preferisco, pero se si è obbligati, proviamo molto“.

Loro rappresentano in qualche maniera l’apice del cinema coreano, fatto di tanti attori e registi che con il loro lavoro hanno portato lo sguardo coreano oltre i confini nazionali, un cambio di marcia che non certo casualmente coincide con la fine di un regime, come spiega Bong: “Non sappiamo cosa è successo di preciso, ma improvvisamente tanti registi ed attori hanno cominciato a lavorare. Alla fine degli anni ’80 c’era la dittatura militare, agli inizi del decennio successivo, con la fine della dittatura è stata rimossa la censura, ed anche io ho cominciato a lavorare come aiuto regista al cinema. In quel momento abbiamo avuto una libertà artistica molto grande. A livello produttivo invece c’è da fare una distinzione nella generazione dei produttori. A fine anni ’90 è nata una nuova generazione di produttori, molto coraggiosi che hanno finanziato progetti molto sperimentali. Ma chissà forse il governo ha messo qualcosa nell’acqua che ha fatto impazzire tutti per il cinema. Senza generalizzare direi che la nostra generazione è stata una generazione di cinefili, è stata pazza“. Un cinema quello coreano che mischia intrattenimento ed autorialità, satira politica, commedia e dramma, ecologia ed ambiente e che più si avvicina al proprio paese più assume i caratteri dell’universalità. Insieme Song e Bong hanno fatto anche la prima vera esperienza con il cinema americano, quando si è trattato di girare Snowpiercer, un film ricco di effetti speciali, ma anche con una forte presenza attoriale, Song: “Personalmente è stata la prima volta che lavoravo con attori hollywoodiani, cosa molto diversa rispetto al lavoro con gli attori coreani, avevo delle sensazioni contrastanti, alcune volte ero scoraggiato.

Questo film insieme ad Okja sono forse i film di Bong con dei personaggi un po’ speciali, estremi, mentre in Parasite sono molto realistici, ordinari: “I personaggi dei miei film sono persone normali alle prese con situazioni particolari. Avere delle persone normali mi sembra una condizione ideale, e facendo riferimento a questa gente che affronta situazioni difficili è possibile passare dalla commedia alla tragedia e viceversa. Tornando a parlare brevemente di Okja posso dire che è un progetto a cui lavoravo dagli anni 2014/15, che richiedeva un grosso budget per le parti visive, oltre 50 milioni di dollari. Le produzioni europee o coreane difficilmente sono disposte ad impegnare tanto denaro. Abbiamo parlato anche con dei produttori indipendenti che ci chiedevano immancabilmente se avessimo intenzione di girare delle scene dentro un macello..Quando ho parlato con Netflix ho ottenuto 57 milioni di dollari e controllo totale, una libertà creativa incondizionata. Per la distribuzione nei cinema era difficile ottenere qualcosa di meglio, la loro politica in tal senso è molto rigida, ma era una cosa che sapevo quando ho accettato il lavoro. Devo dire che mi considero fortunato come regista, tutti i miei film hanno avuto un Director’s Cut e tranne in un caso hanno avuto l’appoggio dei produttori“. Sulla domanda se fuori dal set sono diventati amici Bong si lascia andare e confessa ridendo “Ci amiamo!” e Song chiosa “Non è che ci incontriamo solo quando lavoriamo, ma, insomma, viviamo ambiti differenti. Comunque quando ci incontriamo parliamo di calcio piuttosto che di cinema“.

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