L’ombra di Caravaggio, di Michele Placido

Tornano tutte le ossessioni del Placido regista, il corpo innanzitutto, in una lettura febbricitante della vicenda umana e artistica del pittore, un’opera apertissima che contiene “infiniti mondi”

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Dio crea infiniti universi, infiniti mondi, infiniti soli… ripete tra sé e sé il Giordano Bruno di Gianfranco Gallo nella vertiginosa sequenza in cui Caravaggio lo riconosce in cella, che è il nucleo (l’incontro sarebbe dovuto essere un testo teatrale, come ha raccontato il regista) intorno a cui si è costruito il progetto di questo film. E infiniti mondi sembra contenere il cinema di Placido, in un’opera apertissima che dialoga con mille suggestioni diverse, dalla rievocazione sognante sulla scia dell’ultimo Martone fino alle ossessioni della sua carriera registica – il corpo, innanzitutto: quello del protagonista Riccardo Scamarcio viene martoriato sin dalla prima sequenza, una spada gli trafigge la guancia, e subito dopo il pittore intuisce che è proprio quel volto sfregiato a dover diventare la faccia del suo Golia. La visione sgorga dalle cicatrici, dalle ferite, dai segni delle frustate sulla schiena delle prostitute portate per essere curate al lazzaretto degli ultimi, a Santa Maria in Valicella a Roma: e torna alla mente l’insistenza strepitosa sull’autolesionismo di Vallanzasca in prigione nel film con Rossi Stuart. Fino all’abissale sequenza in cui il pittore costruisce uno dei suoi quadri intorno al cadavere della cortigiana Annuccia recuperato dal Tevere, dove la donna s’era tolta la vita, e al nugolo di emarginati che le si stringe attorno (si tratta della celebre Morte della Vergine).

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Ecco, il delirante Caravaggio di Placido è chiaramente un altro dei suoi grandi personaggi maledetti, destinati a sconvolgere il mondo (o i mondi) con il loro carisma travolgente, la loro inquietudine distruttiva, il loro immenso amore. Ma questo è soltanto uno degli infiniti soli che reggono il film, che imbastisce questa struttura wellesiana basata sulle confessioni e le rievocazioni dei personaggi che ruotano intorno alla latitanza di Caravaggio, interrogati da questa sorta di inquisitore senza nome (“i miei uomini mi chiamano l’Ombra”) interpretato da Louis Garrel, incaricato dal Papa di investigare sulla possibilità o meno di una grazia al pittore, colpevole di omicidio. E poi c’è la dimensione esplosa della ricostruzione storica, continuamente squarciata anch’essa, come i corpi del film, da giochi con le lenti dell’obiettivo, inquadrature “spezzate” e fuori fuoco (Michele D’Attanasio quasi ophulsiano in zona Lola Montes), scene di massa e vedute su paesaggi e monumenti (tra Roma e Napoli) che cercano appunto di restituire una resa pittorica del tempo (o degli infiniti tempi…) della vicenda.

Perché più di tutto, L’ombra di Caravaggio prende vita intorno ai quadri di Merisi, cercando una connessione istintiva tra la forza sconvolgente di quelle tele e lo stile impetuoso e carnale, per usare un aggettivo centrale nel film, del Placido regista: la ricerca e la resa delle ispirazioni e dei modelli alla base delle opere del pittore diventano il fulcro intorno a cui la realtà storica (con i cardinali, le marchese, i personaggi esistiti e quelli inventati) viene trasfigurata in una febbricitante sospensione onirica, in cui incontrare alcune delle soluzioni più felici in tutta la produzione del regista, che da un po’ di anni non ritrovavamo così ispirato.
Amor vincit omnia: è evidente come per Michele Placido il film sia anche una rivendicazione autoriale, lui come il protagonista un artista non amato dai salotti bene, fuori dal circolo degli accademici, spesso considerato un personaggio fin troppo sopra le righe – e in quest’ottica, il suo cinema torna ancora una volta ad assomigliargli, a frullare insieme tutti gli universi cari al suo Giordano Bruno (come il rapper Tedua nello stesso cast con Isabelle Huppert…), a passare baldanzosamente da Artemisia Gentileschi alla pazzesca, amatissima citazione (“io non vi sfido! io non vi vedo!”) del Carmelo Bene contro tutti, messa in bocca a Caravaggio.

 

Regia: Michele Placido
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Louis Garrel, Isabelle Huppert, Micaela Ramazzotti, Tedua, Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Alessandro Haber, Michele Placido, Moni Ovadia, Gianfranco Gallo, Brenno Placido, Lorenzo Lavia, Gianluca Gobbi, Maurizio Donadoni, Duccio Camerini, Carlo Giuseppe Gabardini, Lea Gavino, Tommaso De Bacco, Pietro Micci
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 120′
Origine: Italia, Francia 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
2.55 (49 voti)
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