L’orchestra stonata, di Emmanuel Courcol
Anche se sconta un certo didascalismo a livello di scrittura, è un caloroso inno alla musica su un impianto tradizionale che cresce alla distanza fino all’emozionante finale. RoFF19. Best of 2024.
Gli sguardi nascosti. In due momenti di L’orchestra stonata un protagonista guarda l’altro di nascosto. Uno sta dirigendo l’orchestra, l’altro suona il trombone nella sua banda. Non è la classica storia di famiglia su due fratelli che non si sono mai conosciuti. È invece la musica invece che diventa l’elemento trainante del terzo lungometraggio diretto da Emmanuel Courcol: classica, jazz, marce, la Sinfonia n. 3 di Mahler, il Bolero di Ravel che diventerà fondamentale soprattutto verso la fine del film. Non solo. Il cineasta la mette in scena attraverso i corpi dei due protagonisti, interpretati da Benjamin Lavernhe e Pierre Lottin, che diventano parte integrante di una partitura dove le dichiarate tracce da melodramma sulla malattia restano sottotraccia per quasi tutta la durata del film.
Thibault, un celebre direttore d’orchestra, scopre di essere malato di leucemia e ha bisogno del trapianto del midollo osseo. Sua sorella però non è compatibile. L’unico che può aiutarlo è una persona che non ha mai visto. Si tratta di suo fratello di sangue, Jimmy, un operaio che suona il trombone nella banda musicale.
Sono i suoni che danno il ritmo, fanno partire una scena, quasi con effetti alla Whiplash, uno dei migliori Chazelle. Rispetto al cineasta statunitense, qui non c’è straniamento. Invece il film conserva tracce dello spirito della commedia sociale inglese degli anni ’90 (il contrasto Nord/Sud della Francia, lo scarto tra i due personaggi di diversa estrazione sociale) e quella passione/contagio alla School of Rock. Come nel film di Linklater, la musica è spesso al centro dei discorsii: i due fratelli parlano del si bemolle in Miles Davis, trovano i primi momenti di complicità con la copertina di un disco di Lee Morgan. In più c’è una danza trascinante sulle note di Laissez-moi danser di Dalida.
Anche se L’orchestra stonata – presentato al 77° Festival di Cannes nella sezione Cannes Première – sconta un certo didascalismo a livello di scrittura soprattutto nel rimarcare le differenze tra i due protagonisti e una certa prevedibilità in alcune situazioni (il direttore d’orchestra che lascia la banda), ha il merito di arrivare diretto e di affrontare in modo efficace la crisi economica accennando alla condizione dei lavoratori della fabbrica dove lavora Jimmy. In più è proprio la differenza di recitazione tra Lavernhe e Lottin che rende il film più autentico e che lo fa crescere alla distanza come nell’emozionante finale man mano che evolve il rapporto tra i due personaggi. Qui si sente l’eco del cinema di Lioret di cui Courcol è stato sceneggiatore, anche nei bellissimi Welcome e Tutti i nostri desideri. La malattia e la solitudine sono vengono mostrati in modo sobrio in grado di incidere in maniera forte. La vita e la sua messinscena diventano elementi coincidenti, come nel precedente film del regista, Un triomphe. Lì il teatro, qui la musica. Entrambi si portano dietro tracce di storie vere. È poi il cinema ad esaltarle senza tradirle e a darci l’illusione di prolungarle e a renderle dei passaggi che ci porteremo dietro per sempre.