Lost But Never Alone. I fratelli Safdie per Oneohtrix Point Never

Diretto dai fratelli Safdie, il nuovo video del loro abituale collaboratore Daniel Lopatin è una lucida riflessione sull’azione nostalgica del passato sul presente

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Dopo l’immersione nei futuri possibili di Age Of…, ispirato da riferimenti che vanno da 2001: Odissea Nello Spazio, agli studi sulle A.I. passando per gli scritti teorici della Cybernetic Culture Research Unit di Cambrdige, Daniel Lopatin riprende i panni di Oneohtrix Point Never e torna con un disco, Magic Oneohtrix Point Never, attraverso cui il sound artist cerca rifugio in uno spazio mentale fondato su un passato idealizzato, inquietante, nutrito da nostalgiche schegge di cultura pop.

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Lopatin torna alla concretezza della drammaturgia del suono di Uncut Gems dei fratelli Safdie ma al contempo studia anche i lavori della CCRU, in particolare lavorando su quell’Hauntology, su quell’azione infestante e inquieta di un immaginario collettivo passato sul presente che Mark Fisher riprende e applica alla musica da Derrida.

In questo senso il video musicale del singolo Lost But Never Alone, pubblicato il 12 Novembre e diretto proprio dai Safdie è quasi programmatico per il modo in cui traduce in immagini i nuclei tematici del disco. Le rasoiate synth del brano fanno da sottofondo ad uno zapping televisivo ossessivo, proveniente da un momento imprecisato tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ‘90. Tra previsioni del tempo, spot patinati, finti slasher, lo spettatore si ritrova bombardato da riferimenti ad un passato al contempo riconoscibile e perturbante. Ispirandosi forse anche alla serie di cortometraggi sperimentali di Adult Swim Infomercials, i fratelli Safdie evocano un passato che non è solo fittizio ma a tratti anche grottesco e inquietante.

È così che nel palinsesto attraverso cui si muovono i suoni di Lopatin si cita, ad esempio, la notizia di una scimmia anziana e agonizzante per la fame che viene salvata dall’amore di un veterinario, ringraziato dall’animale con un bacio sulla fronte, in un momento a metà tra la tv strappalacrime e Max, Mon Amour di Oshima. Particolarmente emblematico, in questo senso, è però forse il racconto che fa da cornice allo zapping, una lunga sequenza proveniente da una sitcom prime-time. In particolare osserviamo i genitori di un teenager ribelle redarguire il figlio dopo l’ennesima bravata e subito dopo sfilargli con la forza lo smartphone dalle mani. Va in scena il cortocircuito (addirittura inverso) dell’hauntology, in cui un oggetto del presente infesta un immaginario passato e lascia una strana inquietudine a chi ne subisce l’effetto. Solo il giovane sembra sapere cosa sia l’oggetto tecnologico, i genitori lo guardano invece quasi sgomenti, come ci si aspetterebbe faccia una coppia di borghesi americani degli anni ’80.

Lopatin e i fratelli Safdie dapprima svelano i meccanismi su cui si muove la nostalgia e subito dopo li cambiano di segno per mostrare i suoi lati oscuri, nel tentativo di stimolare nello spettatore quel confronto critico con il passato che è centrale nell’hauntology. Non è forse casuale che il video, dopo lo shock futurista, si chiuda su una sequenza forse ancora più aggressiva, con la diegesi che prima cita in maniera distorta l’iconico video di Black And White di Michael Jackson e poi ne manda in pezzi la rievocazione nostalgica lasciando sovrapporre ai titoli di coda quelli che sembrano essere i primi fotogrammi di un rapporto sessuale catturati dall’occhio di un guardone. In perfetta consonanza con lo spirito pessimista del cinema dei Safdie il video si chiude su un epilogo beffardo, che rimarca quanto, se il presente è il luogo mentale da cui fuggire, forse il passato non è così accogliente come ci si aspetterebbe, a meno che lo spettatore/ascoltatore non sia pronto a filtrarlo con quello spirito critico che, nella contemporaneità dominata dalla fascinazione fine a sé stessa per tutto ciò che proviene da un momento culturale passato, scarseggia sempre di più.

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