Louis Armstrong’s Black and Blues, di Sacha Jenkins

Il documentario di ripercorre con grande dinamismo la vita di Satchmo attraverso il recupero e il collage di un inedito corpus di lettere e interviste dal valore inestimabile. Special Screenings

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Per tutta la sua vita, Louis Armstrong ha coltivato un’unica e chiara immagine di se stesso. Il “Satchmo” che tutti abbiamo in mente dalle immagini di repertorio, si presentava davanti ai riflettori con un sorriso a trentadue denti, con quell’ inconfondibile verve che lo rese così famoso nell’immaginario collettivo. Eppure, lontano dalle telecamere, dai teatri di posa e i music hall, Armstrong ha deciso di rubricare le memorie e i pensieri di una vita, attraverso lettere e registrazioni audio della propria inimitabile voce, abbandonando per quei brevi intervalli l’immagine costruita per il grande pubblico.

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Sacha Jenkins, a più di cinquant’anni dalla morte di uno dei più grandi musicisti della storia, rivisita la musica e rivaluta il pensiero del leggendario trombettista e cantante jazz. Lo fa, attraverso il recupero di un inedito corpus di lettere, interviste private e spunti personali. L’operazione, coadiuvata dal contributo di storici, critici e musicisti jazz, regala una necessaria quanto lungimirante rilettura della figura di Armstrong, a volte sminuito da un punto di vista musicale, altre criticato dalla sua stessa gente sul tema dei diritti civili. Jenkins ribalta questa prospettiva, coinvolgendo anche figure di spicco dell’odierno ambiente black come il rapper americano Nas che dona la propria voce per la lettura di alcune lettere private.

Il documentario ripercorre tutta la vita del trombettista, l’amore per la musica, il rapporto con figure di spicco come King Oliver, colui che credette per primo nell’infinito talento di Armstrong, ma anche il suo rapporto con la politica, le istituzioni americane e con le proprie origini africane. Una certa remissività nei confronti degli USA gli fu a lungo contestata da numerosi esponenti dei movimenti per i diritti civili. A pochi andava a genio quel sorriso con cui Armstrong si presentava, sempre e comunque, in qualsiasi città americana. Ma il documentario di Jenkins si colloca oltre quel sorriso, analizzando il senso più profondo della musica prodotta da questo straordinario artista.

“Una tromba è in grado di uccidere un uomo.”

Attraverso la potenza della sua musica, Armstrong ha saputo rivendicare le proprie origini, urlare tutto il dolore e la rabbia conservati e da sempre celati dietro a quel sorriso. In questo senso, la sua interpretazione di When the Saints Go Marching In è una delle più grandi denunce politiche mai fatte, a tutti gli effetti precorritrice della famosa The Star-Spangled Banner di Jimi Hendrix a Woodstock nel 1969.

Jenkins racconta tutto questo, adottando un ritmo incalzante, sovrapponendo immagini, scritti e documenti audiovisivi. Riempie tutti “gli spazi vuoti” all’interno dell’ideale pentagramma sulla vita del trombettista, replicando quel quarto di tono che permise ad Armstrong di rivoluzionare la musica contemporanea, diventando a tutti gli effetti il padre fondatore del jazz. Ma, forse, il più grande merito di Louis Armstrong’s Black and Blues è l’essere riuscito a trovare l’inquadratura a cui Louis Armstrong era sempre riuscito a sottrarsi, regalandoci il definitivo ritratto di un uomo, afroamericano, nato e cresciuto in totale povertà a New Orleans e divenuto leggenda.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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