Luca Ravenna: tributo alla post-comedy

Nei 95 minuti di Red Sox, disponibile integralmente su YouTube, il comico milanese fa un ambizioso balzo in avanti lambendo i vertici dei colleghi d’oltreoceano, ma mantenendo integri temi e stile

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Verso la fine del suo nuovo spettacolo, Red Sox, Luca Ravenna racconta di una serata di stand-up comedy fatta a New York, iniziata male per una battuta che paragonava l’adozione allo schiavismo. E finita peggio perché prima di andarsene ha chiesto se qualcuno avesse un’arma con sé. Chissà, magari i newyorkesi hanno il senso dell’umorismo di una ciabatta e non apprezzano che si scherzi sui loro stereotipi. O forse Luca Ravenna fa semplicemente più ridere agli italiani perché noi, al contrario, gli stereotipi li amiamo, quasi ne siamo orgogliosi. Anche perché, nella maggior parte dei casi, non sono poi così lontani dalla realtà.

Ed è esattamente così che Ravenna dipinge l’Italia in Red Sox: dal quartiere di Napoli che “lo sai perché qua non girano Gomorra? Perché è Gomorra” alla Ostia fascista, da Berlusconi a Mario Draghi e Matteo Salvini, il monologo, lungo quasi 95 minuti, procede soprattutto per imitazioni di accenti e luoghi comuni. In particolare Ravenna, senza alcuna pietà, decostruisce, tramite dissacranti storie sulle défaillance sessuali dell’adolescenza e sui primi appuntamenti di giovani innamorati, quell’ideale tutto italiano del maschio alpha, forte e virile, sempre col testosterone a mille, che non può mai ammettere il fallimento. Il “superuomo” non nietzschiano ma dannunziano, o meglio ancora mussoliniano – non a caso Mussolini calpestò e soppiantò il “padre” D’Annunzio, come racconta benissimo M – Il figlio del secolo -, che ancora la fa da padrone in qualsiasi spogliatoio maschile (e non solo).

L’approccio di Ravenna si rifà molto alla stand-up di comici americani e britannici come Aziz Ansari e Ricky Gervais, sfiorando i vertici di Hannah Gadsby, in cui le battute cedono il passo ad una riflessione più profonda e, a tratti, più amara. E i cui spettacoli (tutti disponibili su Netflix) sembrano quasi film, con regia e montaggio che assecondano il comico e ne seguono il passo e il ritmo. Del resto, Luca Ravenna – immune all’influenza dell’accento romano anche dopo diciassette anni trascorsi nella capitale – è con ogni probabilità il più importante esponente italiano di quella che si definisce post-comedy, colui che più ne ha interiorizzato le dinamiche e i metodi.

Ma al contrario dei suoi colleghi oltreoceano, che non si fanno scrupoli a parlare di politica e di movimenti politici, anche a costo di sacrificare le risate, il comico milanese ammette di parlarne poco, come molti suoi coetanei. Il che in realtà non è vero, perché in Red Sox di satira politica ce n’è parecchia, dopotutto comicità e politica sono sempre andate di pari passo. E forse, visto quello a cui stiamo assistendo nelle ultime settimane, tra Donald Trump e la diatriba con Zelenski, Elon Musk che balbetta “legalize comedy” come il personaggio di una sitcom, e i meme sul vicepresidente JD Vance, non esisterà più la politica senza (post) comicità. Che sia l’inizio della post-politica?


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