L’ultimo drink, di Markus Goller

Opera epigone di Un altro giro di Thomas Vinterberg, riflette senza troppi schematismi sul tema dell’alcolismo e, malgrado qualche didascalismo di scrittura, riesce a toccare le corde giuste.


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Il duo ormai consolidato formato dal regista Markus Goller e dallo sceneggiatore Oliver Ziegenbalg – già autori di Friendship (2010) e 25 km/h (2018), campioni di incasso in Germania – torna sul grande schermo ancora una volta ispirato da uno spunto personale legato alla propria esperienza di vita.

Titolo in un certo senso epigone de Un altro giro di Thomas Vinterberg, L’ultimo drink è un’opera che ritorna forte sul tema dell’alcolismo, esplorandone al contempo le radici sociali e psicologiche.

Questa volta, al centro del racconto c’è Mark, un capomastro innamorato della propria quotidianità divisa tra il lavoro al cantiere e le sregolate serate a base di alcol trascorse con gli amici. L’uomo apprezza fino in fondo il suo stile di vita ma quando gli viene ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza, il vortice della sua quotidianità si rivela ai suoi occhi per quello che è veramente.

Accettare la propria dipendenza. Guardare dentro se stessi. Comprendere le proprie debolezze davanti ad una bottiglia di birra. Imparare a capire cosa si nasconde dietro a quella bottiglia, alla voglia di bere fino a perdere la ragione. Il lungo e tortuoso percorso di redenzione di un alcolista alterna vette di estasi personale a vere proprie cadute libere nell’oblio dello sconforto. Il traguardo sembra farsi ogni volta sempre più vicino per poi ritornare ad essere miraggio impossibile da raggiungere. Liberarsi da una dipendenza significa prima di tutto liberarsi di noi stessi, o meglio, del peso che abbiamo accumulato nei nostri confronti, sembra suggerirci (ma senza volerci fare la lezione) il regista tedesco.

“Forse si è dimenticato la persona che è da sobrio” si sente dire a un certo punto il protagonista Mark ed è lì che si trova il cuore di un film che insiste soprattutto sui “drammi rimossi” che preparano il terreno per l’inesorabile arrivo dell’alcolismo come di qualsiasi altra dipendenza. Quando la solitudine del capomastro si incontra con quella di un’insegnante delle elementari, per qualche settimana la loro complicità sembra poterli salvare da una nuova ricaduta. Ma “solo in matematica due segni negativi ne fanno un positivo”. Non c’è scorciatoia che tenga, è necessario uscirne da soli.

E forse è proprio grazie all’abbandono delle formule (in questo caso di scrittura), tralasciando qualche eccessivo didascalismo nella sceneggiatura (e la presenza di un simbolismo abbastanza telefonato), che il duo Goller-Ziegenbalg porta a casa un’opera che riflette senza troppi schematismi sulle problematiche sociali e psicologiche che generano una dipendenza. Con grande semplicità il film riesce a toccare le corde giuste dello spettatore, mostrando con realismo e senza alcuna morale scontata la condizione di un uomo con una dipendenza. Il suo complicato viaggio interiore, infatti, è privo di antagonisti o personaggi che non lo capiscono, tutti sembrano remare dalla sua parte. L’unico a non farlo è proprio lui. Semplice ma dannatamente complicato da ammettere.

Titolo originale: One for the Road
Regia: Markus Goller
Interpreti: Frederick Lau, Nora Tschirner, Burak Yigit, Friederike Becht, Godehard Giese
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 115′
Origine: Germania, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3 (2 voti)

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