L’ultimo lupo, di Jean-Jacques Annaud

nnaud mette in scena una macchina spettacolare che si discosta dal kolossal hollywoodiano per esplorare con sensibilit romantica territori remoti da cui far emergere problematiche universali.

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Orsi, tigri e lupi: Jean-Jacques Annaud ha dimostrato, nel corso degli anni, di possedere uno sguardo tridimensionale nella rappresentazione della natura e del mondo animale. Nel 1988, con L’orso, gira una favola semplice, quasi muta, dove la prospettiva del piccolo e peloso protagonista viene contrapposta all’egoismo dell’uomo che, sul finale, comprenderà il valore della vita. Nel 2004 è la volta di Due fratelli in cui mantiene un tono leggero e una morale immediata, con un registro narrativo sempre sospeso tra il documentario e la finzione. In tal senso L’ultimo lupo può essere considerato un film più maturo dei precedenti perché raggiunge un grado maggiore di realismo pur restando confinato nel recinto della fiction.

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Chen Zhen è un giovane studente di Pechino che durante la rivoluzione culturale viene mandato in Mongolia Interna per insegnare il cinese a una tribù nomade di pastori. Dopo essere scampato a un branco di lupi, resta affascinato da questa creatura e decide di allevare un cucciolo. L’ordine di un ufficiale del governo di sterminare tutti i lupi della regione porterà scompiglio nel delicato equilibrio dell’ecosistema, minacciando il legame tra Chen e il suo nuovo amico.

Ancora una volta Annaud si cimenta con la materia letteraria scegliendo come punto di partenza il best seller Il totem del lupo di Jiang Rong, pseudonimo di Lü Jiamin. Tuttavia la sua idea di cinema resta intatta, mutata solo nella forma. Il budget elevato a disposizione (circa 40 milioni di dollari) gli ha permesso infatti di mettere in scena una macchina per certi versi spettacolare che si discosta dal kolossal hollywoodiano per esplorare con sensibilità romantica, e a tratti sognatrice, territori remoti da cui far emergere conflitti e problematiche universali: lo sfruttamento ambientale, l’inquinamento, le differenze culturali sono temi funzionali alla storia che restano però al margine. L’intento del regista è di indagare la natura del lupo, la sua indole complessa di guerriero feroce e intelligente (non a caso viene accostato all’indomito Gengis Khan). Per fare questo, non utilizza come nei due film precedenti un punto di vista soggettivo che presuppone una mediazione umana sulla prospettiva animale alterandone l’autenticità. Si limita piuttosto, ed è questo uno dei meriti, ad avvicinare la macchina da presa, immortalando il lupo in bellissimi primi piani, o ad allontanarla per seguire attentamente le varie fasi della caccia, dal momento in cui punta la preda fino al sanguinario assalto, che ricostruisce con dovizia di particolari. L’altro grande protagonista è il paesaggio che nel cinema di Annaud non assume mai una valenza puramente estetica (pensiamo a Sette anni in Tibet) ma contribuisce, attraverso il suo aspetto misterioso e cangiante, a dare spessore all’azione e ai personaggi.

Purtroppo il regista fallisce quando (im)pone il proprio sguardo risolutore sulle dinamiche sociali e politiche che vengono estremamente semplificate a (s)vantaggio di una facile retorica, che sottrae intensità al dramma soffocando la sua dimensione epica e spirituale.


Titolo originale: Wolf Totem ?
Regia: Jean-Jacques Annaud
Interpreti: Shaofeng Feng, Shwaun Dou, Ankhnyam Ragchaa, Yin ZhuSheng, Basen Zhabu, Baoyingexige ?
Origine: Cina 2015 ?
Distribuzione: Notorious ?
Durata: 118′

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