L’uomo caffelatte. Watermelon Man, di Melvin Van Peebles

Seminale commedia anni ’70 che ha come base il tema razziale con uno sguardo al cinema indipendente di Roger Corman e alla slapstick comedy di Blake Edwards. In sala da oggi.

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L’inizio degli anni ’70 è stato un periodo di grande fermento con la nascita di numerosi movimenti rivoluzionari per il riconoscimento dei diritti degli afroamericani, con maggiore vigore dopo l’assassinio di Martin Luther King del 1968. Melvin Van Peebles, dopo un debutto interlocutorio (La permission del 1967), gira la prima commedia che ha come base il tema razziale, utilizzando un tono satirico ai limiti del grottesco.

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Jeff Gerber (Godfrey Cambridge) è un agente di assicurazioni razzista e misogino con un rapporto inesistente con la moglie Althea (Estelle Parsons). Una mattina si ritrova con la pelle nera e viene discriminato sia a livello sociale (i colleghi di lavoro, i vicini di casa, il medico) che familiare (la moglie lo ripudia).

Se il modello è Indovina chi viene a cena? (citato in una battuta del film), Martin Van Peebles lo sovverte completamente avviando quella dissoluzione del genere che lo avvicina alle operazioni di molto cinema indipendente del periodo (Roger Corman, Dennis Hopper, Peter Fonda). Riesce in questo intento sovversivo agendo all’interno del sistema (Hollywood sovvenziona il progetto e il pluripremiato Herman Raucher scrive la sceneggiatura): ne esce un ibrido tra Hollywood Party e Playtime che nasconde dietro l’apparente innocuità della slapstick comedy la rabbia per la discriminazione ed emarginazione su base razziale.

Godfrey Cambridge usa il linguaggio del corpo per accentuare l’effetto comico: lo vediamo fare rumorosi esercizi ginnici, gareggiare di corsa contro l’autobus della mattina (un gesto apparentemente folle ma in linea con la megalomania del personaggio competitivo e arrivista), crogiolarsi sotto la lampada solare, esagerare nel fuoco di fila di battute con la segretaria norvegese e il datore di lavoro. L’effetto surreale di questo umorismo viene amplificato dal montaggio serrato e dalla scelta di inquadrature atipiche (riprese dall’alto, dal basso, zoom ravvicinati, giochi di luce). La musica, scritta dallo stesso Melvin Van Peebles è un misto di soul, funky e rythm & blues e non fa altro che accentuare il tono parodico: vi è pure un inserto musical in cui alle didascalie da cinema muto si accompagna un canto ironico (Love, That’s America il cui refrain incessante continua a ronzare per tutto il film) sulle storture del sogno americano che vede il laureato nero Jeff finire a spazzare i rifiuti dei bianchi imborghesiti e razzisti (“Fai del tuo meglio e sii il vanto della tua razza”). La legge del contrappasso che fa diventare nero il protagonista Jeff Gerber è un espediente che consente di provare sulla propria pelle l’emarginazione. Per quanto compri tutti i prodotti sbiancanti, Jeff non può rimuovere lo sguardo inorridito della moglie (che perde il suo falso liberalismo da salotto televisivo) e il pregiudizio della gente (in quanto nero non può non avere rubato qualcosa o commesso atti violenti come uno stupro): il climax si raggiunge nella scena del tentativo di ingresso allo Yacht Club che causa l’ennesima rivolta afroamericana.

Melvin Van Peebles è ancora più sottile nel descrivere i falsi tentativi di accoglienza: il datore di lavoro tenta di piazzarlo alla clientela nera per proporre nuove assicurazioni e la procace segretaria norvegese lo identifica come oggetto sessuale. Infine i vicini di casa arrivano a offrire 100000 dollari per fargli cambiare quartiere. Davanti al precipitare degli eventi a Jeff non rimane che adattarsi: se l’ambiente modifica l’uomo, l’uomo può diventare un prodotto di questo ambiente ma covare nel suo intimo una violenta forma di rivalsa che prevede una solidarietà di classe e di razza. E l’ultima immagine del film è un monito a tutti i perbenisti bigotti che godono dei vantaggi del proprio stato sociale vampirizzando le energie della working class people afroamericana. In alto vengono brandite la scopa e il mocio con un urlo di rivolta: è maturo il tempo della blaxploitation di Sweet Sweetback’s Baadasssss Song.

 

Titolo originale: Watermelon Man
Regia: Melvin Van Peebles
Interpreti: Godfrey Cambridge, Estelle Parsons, Erin Moran, Howard Caine, D’Urville Martin, Kay Kimberley
Distribuzione: Cineteca di Bologna
Durata: 97′
Origine: USA, 1970

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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