L’uomo che comprò la luna, di Paolo Zucca

Tra commedia e road-movie, stralunato, surreale e a tratti franata da una struttura narrativa elaborata e un po’ ingombrante. Però possiede anche colpi improvvisi.

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Il capitolo Asterix in Corsica di Goscinny e Uderzo come uno dei modelli ispiratori. In un film che guarda alla Luna ma è sempre legato alla terra, la Sardegna. Come il primo lungometraggio del regista, L’arbitro. Dove il fuoriclasse di quel film, Matzutzi, che ha fatto riemergere la squadra di calcio dell’Atletico Pabarile in L’uomo che comprò la luna si reincarna e in Gavino Zaccheddu, che nasconde la propria identità sotto le vesti del soldato Kevin Pirelli, dal marcato accento milaese. A interpretarlo c’è sempre Jacopo Cullin, visto anche in La stoffa dei sogni di Cabiddu. E si imbattono in lui due agenti speciali italiani (Stefano Fresi e Francesco Pannofino), dopo che hanno ricevuto la soffiata che qualcuno in Sardegna si è impadonito della luna. Per gli Stati Uniti è uno smacco. E i due si affidano al ragazzo per scoprire chi ha comprato la luna e perché.

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Il cinema di Paolo Zucca mantiene un tono stralunato, quasi surreale. Dove la desolata terra lunare potrebbe essere i paesaggi quasi deserti sullo sfondo della telecronaca della partita di calcio Cagliari-Modena. O ancora spostarsi in un depistante e affascinante fantasy dove compaiono invece alcuni dei fantasmi più illustri nati in Sardegna. Da Antonio Gramsci a Elena d’Arborea. Con un non sense che ricorda quasi quelle dinamiche meccaniche dei primi Jeunet-Caro proprio nel stretta dinamica che lega il gesto all’azione.

Scritto dallo stesso regista assieme a Geppi Cucciari e Barbara Alberti, L’uomo che comprò la luna è un road-movie pieno di immaginazione. Ostacolato però a tratti dalla traccia poliziesca-apocalittica soprattutto nelle figure dei due agenti. E che, nell’insistere sul non-sense, può indugiare forse eccessivamente in alcune scene come quella della partita di biliardo al bar. Un’incompiutezza che però non lo priva di una sua coerenza. Che fa entrare progressivamente in questo balletto ipnotico, efficace soprattutto quando privilegia il movimento sulla parola, come nel frammento quasi coreografico del gruppo di ragazzi e gli uomini sul muricciolo che si muovono in sincrono al passaggio di Zaccheddu/Pirelli. A cui contribuisce anche la contagiosa musica di Andrea Guerra. E dove la parte migliore risulta quella del processo di iniziazione da parte del formatore culturale sardo interpretato da Benito Urgu. “Capisco il tuo punto di vista ma stai guardando dalla parte sbagliata”. Sguardi, silenzi e un piatto spaccato in testa. Da lì avviene la mutazione. Ancora come in un fantasy. E lo stordimento, nei rumori della città, dove il protagonista è circondato dalle auto, è un colpo improvviso. Come una prodezza che rompe l’equilibrio in una partita tirata. Che si ripete anche nel finale. Proprio i momenti dove il film appare depurato dalla sua struttura narrativa che risulta elaborata e artificiale. Dove fantasia e magia finalmente si confondono.

 

Regia: Paolo Zucca
Interpreti: Jacopo Cullin, Francesco Pannofino, Stefano Fresi, Benito Urgu, Angela Molina, Lazar Ristovski
Distribuzione: Indigo Film
Durata: 102′
Origine: Italia/Albania/Argentina 2018

 

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