L’uomo che disegnò Dio, di Franco Nero

Vorrebbe affrontare con spirito polemico alcuni dei grandi temi dell’attualità, ma finisce per diventare un confuso calderone di pensieri e concetti, dove tutto è didascalico, sommario e ripetitivo

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Nel guardare L’uomo che disegnò Dio emerge subito una prima verità, un’ossessione così trasparente e concreta che appare sin da subito come il filo conduttore della (relativamente nuova) ricerca registica di Franco Nero. In linea con la sua precedente, nonché prima, incursione dietro la macchina da presa, Forever Blues, dove un vecchio trombettista trovava nel potere comunicativo/riflessivo della musica la forza di riscoprire il valore delle relazioni umane, anche qui lo “spartito” del racconto si struttura sulle stesse concezioni, con l’arte – in questo caso quella ritrattistica – che funge da metro e specchio rifrangente di tutte le ramificazioni “umaniste” di cui si compone l’espressione estetica.

Al centro di L’uomo che disegnò Dio non c’è più il binomio maschile, ma una relazione intergenerazionale (e interrazziale) tra un artista e una giovane ragazza, simbolo qui di una sua ideale “controparte infantile”. Emanuele (Franco Nero) appare inizialmente come un enigma: lo vediamo girovagare in solitaria tra i parchi di Torino, e scribacchiare schizzi sulla sua tavola da disegno. All’apparenza sembra un signore come tanti, ma nasconde un fenomenale segreto: nonostante la cecità, è in grado di ritrarre il volto di qualsiasi persona, purché ne ascolti la voce. Un talento che la giovane immigrata Iaia vorrebbe veder riconosciuto, al punto da diffondere di nascosto un video delle sue incredibili gesta. Da questo momento l’enigma dell’uomo è scoperchiato, e il suo talento non potrà più ripararsi dall’onda lunga dell’esposizione mediatica, che lo porterà, come vedremo, allo scontro con i fenomeni più beceri e disumani della “mercificazione” televisiva.

Ed è in questo contesto che L’uomo che disegnò Dio vorrebbe rintracciare i canoni del suo spirito critico/polemico, senza però trovare una chiave di lettura consistente. Nel paragonare i cinismi dei talent televisivi agli stucchevoli sensazionalismi di alcuni show circensi, il film incappa in un eccesso di gravitas, con le parole che restano schiacciate dal peso di un’evocazione che indebolisce – e non cementa – i messaggi che l’attraversano. E la stessa presenza di Kevin Spacey, qui (guarda caso) nelle vesti di un diabolico “persecutore della verità”, è fin troppo breve e sommaria per poter aprire un discorso convincente sulle ramificazioni reali della cancel culture. Quel che resta allora è un enorme calderone – molto didascalico e ripetitivo, si pensi alla debole parabola di integrazione di Iaia e Maria – di grandi temi dell’attualità. Di osservazioni che, alla fine della fiera, finiscono per rimanere a galla solo grazie alla sincerità e all’umorismo con cui Franco Nero si ostina, fino in fondo, a raccontare.

Regia: Franco Nero
Interpreti: Franco Nero, Isabel Ciammaglichella, Wehazit Efrem Abrham, Kevin Spacey, Faye Dunaway, Massimo Ranieri, Simona Nasi, Robert Davi, Stefania Rocca, Diana Dell’Erba, Alessia Alciati, Vittorio Boscolo, Sofia Nistratova, Diego Casale
Distribuzione: L’Altrofilm
Durata: 110′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
2.43 (7 voti)
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