L’uomo che vendette la sua pelle, di Kaouther Ben Hania
Uno sguardo innovativo sul mondo dei rifugiati in un film con un’ottima partenza ma che poi si perde un po’ e affretta la conclusione. Yahya Mahayni, premio Orizzonti al miglior attore a Venezia77
Libertà. Una sensazione, una possibilità verso la quale l’uomo tende inevitabilmente ed instancabilmente. Certo, il cinema ci ha abituati alle più disparate situazioni di ricerca di questo elemento essenziale della felicità umana, ma la regista tunisina Kaouther Ben Hania con il suo L’uomo che vendette la sua pelle ha deciso di spingersi oltre. La storia è drammatica, ci sono tutti gli elementi: un amore forte, ma contrastato e reso impossibile, una situazione politica come quella siriana, la voglia di normalità di un giovane uomo, tristemente consapevole di essere nato “dalla parte sbagliata del mondo”. Ma il grande punto di svolta è nell’ironica rappresentazione del mondo dell’arte, di coloro che lo popolano e di certe discutibili pratiche. L’uomo che vendette la sua pelle prende in giro in maniera sottile e irreverente alcuni dei suoi stessi personaggi (come la bionda Soraya interpretata da Monica Bellucci), ma lo fa in maniera estremamente dolce e soprattutto con uno scopo ben preciso. Prendendo spunto da una storia vera (e veramente incredibile, specie per gli ultimi sviluppi dovuti al Covid-19), quella dell’artista belga Wim Delvoye (che appare nel film in un cameo) il quale nel 2006 ha tatuato un uomo rendendolo un’opera d’arte vivente intitolata “Tim”.
Sam Ali (Yahya Mahayni, Premio Orizzonti al Miglior Attore al 77° Festival del Cinema di Venezia) vende la sua pelle ad un eccentrico (e mefistofelico, come ammette lui stesso) artista milionario (Koen De Bouw) che vuole fare della sua schiena un’opera d’arte di denuncia, tatuandovi un enorme Visa per l’area Shengen. Costretto a rifugiarsi in Libano dalla Siria a causa di un’esclamazione considerata pericolosa e a vedere la donna che ama (Dea Liane) sposare un ricco uomo con il quale si trasferirà a Bruxelles, a Sam non resta altro che vendere parte della sua libertà diventando un quadro vivente per ottenerne una più grande: quella di potersi muovere e di poter raggiungere il Belgio. Ecco il paradosso, lo scambio che comporta sempre ad una perdita in nome di un acquisto più “conveniente”.
L’uomo che vendette la sua pelle è un’opera molto ambiziosa, che ha corso il rischio di mettere troppa carne al fuoco ed ha dovuto subirne il peso verso la fine, ma indubbiamente non si può non riconoscere il grande merito a Kaouther Ben Hania (anche sceneggiatrice) di essere riuscita a gettare uno sguardo innovativo sul mondo dei rifugiati e sulle tante ipocrisie che caratterizzano il mondo governato dagli umani, senza cadere in facili sentimentalismi. Sam Ali è un angry man che decide di prendere quella che apparentemente sembrerebbe la via più breve ma che si rivela poi essere anche la più dilaniante per la sua dignità, più volte calpestata. Eppure con il tempo il giovane impara a muoversi sinuoso nel suo kimono azzurro per le stanze di un museo, consapevole di star giocando una partita che prima o poi finirà per vincere.
Titolo originale: The Man Who Sold His Skin
Regia: Kaouther Ben Hania
Interpreti: Yahya Mahayni, Dea Liane, Monica Bellucci, Koen de Bouw, Darina Al Joundi, Christian Vadim, Wim Delvoye, Saad Lostan
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 104′
Origine: Tunisia, Francia, Germania, Belgio, Svezia, 2020