"L'uomo dell'anno", di Barry Levinson

Camuffando il fool, il buffone, il critico del potere per eccellenza da presidente, spingendolo dentro il sistema, snaturandolo senza graffiare, Levinson punta a svegliare gli sguardi con una strategia sottile. Un rischio molto alto

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Le potenzialità c'erano: di regia, d'interpretazione, di argomenti. Un comico come presidente degli Stati Uniti, le insidie del voto elettronico, lo scollamento tra classe politica e popolazione, l'interesse privato contro l'interesse pubblico: i fattori esplosivi non mancavano per sovrapporre in modo incandescente comicità e riflessione socioculturale. Perché L'uomo dell'anno non cattura e incolla lo sguardo come le ripetizioni infinite di Andy Warhol? Perché, nonostante l'attenzione agli elementi visibilmente pop della cultura nordamericana, non colpisce l'anima come l'avanguardia cui dichiaratamente si ispira?

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Fiumi di parole. Sono tredici milioni le e-mail che portano un comico televisivo (Robin Williams) alla corsa per le elezioni. Qui non è solo l'umorismo ad appoggiarsi esclusivamente alle parole (se si esclude una delle gag più riuscite, quella sulla convergenza corpo umano/tecnologie multiple): per tutta la pellicola rincorriamo discorsi alla nazione, dibattiti pubblici e  discussioni private…L'uomo dell'anno sembra soccombere proprio sotto i colpi del suo bersaglio principale: non è forse la percezione di una politica fatta di solo involucro (di immagine, di comunicazione) il cuore del film? Forse Levinson vuole giocare: camuffando il fool, il buffone, il critico del potere per eccellenza (alle corti reali come oggi) da presidente, spingendolo dentro il sistema, snaturandolo senza graffiare, punta a svegliare gli sguardi con una strategia estremamente sottile. Un rischio molto alto. Ci si perde facilmente. Quella che nella prima parte del film sembra una costruzione piuttosto coerente – seppure un po' a compartimenti stagni – di scene che alternano la staticità posticcia del costruito (il dibattito tra i concorrenti in tv) alla dinamicità concitata del reale (i battibecchi dello staff), progressivamente cede il passo a una commedia che sbanda tra thriller e spionaggio industriale, ma senza ansie né sussulti. Un momento forte, quando il protagonista, sulle note di 'Bohemian Like You', mostra per davvero – a noi, e agli americani – cosa vuol dire conoscere il proprio pubblico. Ma il vero nodo – sviscerato all'inverosimile, ma ancora capace di inchiodare – resta troppo lontano: purtroppo non basta qualche indizio sparso (frammenti di quiz e previsioni del tempo), né qualche battuta (sulle armi di 'distrazione' di massa), né il dubbio insinuato sulla condotta del personaggio chiave (Laura Linney) per scavare sul serio nello spazio tra informazione, verità, costruzione, simulacro. Quando la macchina da presa si sovrappone all'occhio televisivo, tutto diventa poco credibile. Così lo spettatore di Levinson rischia di smettere. Di guardare. Soprattutto di ascoltare.

Titolo originale: Man of the Year


Regia: Barry Levinson


Interpreti: Robin Williams, Christopher Walken, Laura Linney, Lewis Black, Jeff Goldblum


Distribuzione: Medusa


Durata: 115'


Origine: USA, 2006



 


 

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