L’uomo di neve, di Tomas Alfredson

Pur diretto dallo svedese Tomas Alfredson, L’uomo di neve segna una nuova decisiva tappa nel percorso di colonizzazione che ha visto gli studios anglosassoni impadronirsi dell’immaginario scandinavo.

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Gli appassionati di giallo scandinavo, la moda letteraria che da alcuni anni ha conquistato l’editoria mainstream italiana, sanno bene chi è Harry Hole, l’implacabile detective nato dalla penna dello scrittore rock Jo Nesbø. Alcolista impenitente, uomo solitario e poliziotto dotato di intuizioni investigative geniali, Hole è il classico topos dell’eroe poliziesco, l’uomo perfetto per risolvere casi enigmatici e acciuffare terribili serial killer (non a caso ha un passato da collaboratore dell’Fbi, qualifica che lo rende una sorta di leggenda vivente per la polizia norvegese). Il caso dell’Uomo di neve, l’assassino che uccide giovani madri infelici al fioccare delle prime nevi invernali, è una sfida perfetta per l’investigatore, pronto come sempre a mettere a repentaglio la propria sicurezza pur di mettere il mostro di turno in condizione di non nuocere più a nessuno.

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Adocchiato a suo tempo da Martin Scorsese, rimasto solo executive producer del progetto, L’uomo di neve segna il debutto sul grande schermo del personaggio di Jo Nesbø. Pur diretto dallo svedese Tomas Alfredson, il film segna una nuova decisiva tappa nel percorso di colonizzazione che ha visto gli studios anglosassoni lentamente impadronirsi di gran parte dell’immaginario narrativo scandinavo. I remake più o meno dichiarati e le produzioni girate in loco (con cast tecnico e artistico, però, prevalentemente inglese) sono i metodi con cui le case produttive stanno “assimilando” il mercato più simile e interessante (con quel tocco di glaciale esotico) nel proprio pacchetto, più per sopperire alla mancanza di originalità che a una vera e propria adesione ideologica-culturale. Tomas Alfredson, autore che con La talpa aveva piegato una storia british ai suoi ritmi nordici, qui si appiattisce alla direttive produttive, raccontando una storia scandinava con una stanca e scontata visione americana. L’uomo di neve, dunque, immerso nei meravigliosi paesaggi innevati (immagini di una Norvegia splendida quanto plasticamente statica) paga l’incapacità di uscire totalmente dal plot giallo per diventare il racconto narrativo e/o visivo di altro.

Non importa se il colpevole è prevedibile o se molti punti chiave della quest vengono lasciati sospesi, il problema del film di Anderson è di non riuscire a trovare la propria strada, schiacciato soprattutto dal riferimento (seguito o meno?) di Fincher. Il regista di Uomini che odiano le donne, ha creato un fondamento di questa fusione tra Hollywood e la Scandinavia. Questo modello, difficilmente superabile, è lo scoglio su cui il film di Anderson si scontra, specie nei punti in cui più cerca di replicarlo (l’immagine luciferina del neo-liberismo spregiudicato, il disturbante nascosto sotto la neve, la stigmatizzazione dell’ipocrita tranquillità scandinava).  Questa confusione non può che lasciarci dubbi sull’effettivo equilibrio raggiunto tra Alfredson e i produttori, artefice di una versione definitiva quasi costretta nei 120 minuti finali. Da questo punto di vista, il lavoro di montaggio di Thelma Schoonmaker (subentrata in corsa nel film)diventa decisivo. La montatrice, dietro consiglio dell’amico-produttore Scorsese, ha riportato il materiale di Anderson nei territori più canonici e tranquillizzati del normale film di genere oppure ha tirato fuori dal magma disordinato del regista la miglior versione possibile di questa storia?

 

 

Titolo originale: The Snowman
Regia: Tomas Alfredson
Interpreti: Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Val Kilmer, J.K. Simmons, Chloë Sevigny, Toby Jones, James D’Arcy
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 125′
Origine: Gran Bretagna 2017

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