L’uomo fedele, di Louis Garrel

Dopo Les deux amis, Louis Garrel torna con un triangolo amoroso che gioca, elegante, fra generi e riferimenti colti. In cui le nostalgie Nouvelle Vague incontrano, con ironia, inquietudini moderne.

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Una rapida panoramica che dal cielo al tramonto si inabissa dentro uno dei tanti appartamenti dai tetti d’ardesia dello skyline parigino. La Tour Eiffel è solo una fugace apparizione, la traccia truffautiana messa lì unicamente a dettare le coordinate entro cui leggere questo breve e lieve pamphlet sull’amore, la coppia, il diventare padri e famiglie.

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A quattro anni dal sorprendente esordio di Les deux amis, scritto con l’amico e mentore Christophe Honoré, Louis Garrel torna alla regia con una nuova règle de trois, combinazione numerica e di scrittura in cui pare riuscire a esprimere al meglio le inquietudini e le tensioni che albergano nei suoi protagonisti.
Come allora, il suo personaggio si chiama Abel, ma non è più un giovane benzinaio/poeta, ispirato all’Octave de Les caprices de Marianne di De Musset, bensì un giornalista trentenne preso in mezzo, suo malgrado, a un triangolo amoroso.

 

L’attualizzazione del classico, ossessione di Honoré già sperimentata dall’autore bretone ne La belle personne, lascia qui spazio a un’opera non meno stratificata, densa di riferimenti colti che Garrel tenta però di ricondurre il più possibile a un minimalismo quotidiano, ora esibendo ora celando le proprie fonti.

Abel è infatti conteso tra Marianne, la donna che ama da tutta la vita, il revenant bergmaniano (si chiama del resto come l’eroina di De Musset e la protagonista delle Scene da un matrimonio…), che ritrova vedova e con un figlio dopo la morte dell’uomo per cui l’aveva lasciato, e la giovanissima Eve, sorella di quest’ultimo, a sua volta infatuata di lui sin dall’adolescenza. In mezzo c’è il piccolo Joseph, gelosissimo della madre, tutto intento a orchestrare il suo piccolo polar.
Messa così, è chiaro come, pur nella cornice contemporanea, gli echi classici risuonino eclatanti. Ronde sentimentali à la Marivaux, baci rubati tra donne madri e bambine (come le Christine Darbon/Fabienne Tabard per cui si schiaffeggiava allo specchio il Doinel di Jean-Pierre Léaud, da sempre riferimento imprescindibile per il Garrel attore.
Mutati i tempi, diversamente dal Bertrand Morane di Truffaut, Abel è ora un uomo che si lascia amare dalle donne, auto-relegandosi a pedina da muovere tra un grande appartamento familiare e un piccolissimo studio da studentessa, con un andirivieni di bagagli materiali ed emotivi.


A metà tra diario e racconto polifonico, con le tre voci over a raccontare la storia secondo il punto di vista emozionale dei protagonisti, L’homme fidèle pare quasi una nuova forma di romanzo epistolare riportato sul grande schermo, con atmosfere appena accennate ai triangoli di Choderlos de Laclos, dove probabilmente gioca un ruolo importante il co-sceneggiatore Jean-Claude Carrière, che firmò a suo tempo il Valmont di Milos Forman.
Dalla durata brevissima, appena un’ora e un quarto, ma girato in 35 mm, il film appare tutto compresso nell’attrito fra un anelito alle forme del classico – letterarie e cinematografiche, come la dichiarazione d’amore alla vecchia Hollywood con lo stralcio di Lo strano amore di Martha Ivers, omaggio al mélange di noir e mélo qui riproposto – e una propensione al formato ridotto, figlia di questi tempi.
Rispetto all’energia nervosa di Les deux amis, sprigionata dai volti e dai corpi incontenibili di Golshifteh Farahani e Vincent Macaigne, che conferiva al film un fascino ruvido, L’homme fidèle segna un ritorno, velato di nostalgia, a un cinema di parola, che pare più riconducibile all’eleganza senile e alla solidità di scrittura di Carrière, che non alla messa in scena di Garrel.

La tensione tra i due poli si risolve fortunatamente in un’ironia che affiora soprattutto grazie al piccolo Joseph, mini-autore, detective e narratore di altre storie nella storia, di possibili derive narrative che Garrel semina qua e là senza interamente raccogliere.
“Non so come parlare ai bambini, se li tratto da adulti non funziona, se li tratto da bambini nemmeno”. Con i dubbi artistici, umani, etici di un figlio del set, che ha esordito a sei anni diretto dal padre Philippe e che guarda sempre a quell’inimitabile interprete delle zone blu dell’infanzia che è stato Truffaut, Louis Garrel trova nelle schermaglie con questo ragazzino ostile la chiave per sottrarsi allo schematismo narrativo del ménage à trois.
È un gioco tra padre e figlio, l’unica vera relazione che il film guarda crescere e fiorire (come una peonia?), in mezzo alle idealizzazioni e ai giochi di specchi narcisistici dei rapporti amorosi.

Titolo originale: L’homme fidèle
Regia: Louis Garrel
Interpreti: Louis Garrel, Laetitia Casta, Lily-Rose Depp, Joseph Engel, Vladislav Galard, Bakary Sangaré, Kiara Carrière, Diane Courseille
Distribuzione: Europictures
Durata: 78′
Origine: Francia, 2018

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