"Lupin III – Il castello di Cagliostro", di Hayao Miyazaki
Per la prima volta nei cinema il miglior film dedicato al celebre personaggio tv: un’opera perfettamente coerente con la poetica del regista, dove ogni avventura è un atto di transito da un livello all’altro, in una perenne comunicazione di spazi, fluidi, corpi, tra torri e sotterranei, botole e ponti aerei, corpi in volo, subacquei e sotterrati
Il cinema di Hayao Miyazaki è uno specchio in cui si riflette una dimensione differente della realtà. Sappiamo bene come i suoi mondi siano delle sfere incantate in cui spazio e tempo differiscono in geografie ed epoche immaginarie; come i confini siano luoghi destinati più a dischiudere altri mondi che a separare e contenere; come le linee di fuga si offrano a prospettive labirintiche, stratificate su più livelli di precisione della realtà, che confluiscono in un rapporto col reale più confusivo che ordinativo. La leggerezza che lo porta sulle ali degli amati aeroplani fa il paio, dall’alto di cieli spesso tersi e solcati da rade nuvole, con la pesantezza di corpi e strutture che sprofondano in livelli sotterranei; esattamente come la linea dell’orizzonte che spesso si apre allo sguardo dei suoi personaggi, si ribalta nella occlusione di labirinti cunicolari che si aggrovigliano nelle viscere di luoghi/edifici complessi come veri e propri organismi viventi, dotati di una fisionomia e di una identità tutta loro. In tali scenari, gli eroi sono corpi in cui transita la differenza di queste realtà, figure che uniscono nella loro eccezionalità i differenti stadi dei mondi nel cui mezzo si trovano sospese; campioni che per istinto praticano la loro eccezionalità, cercando sempre un modo per equilibrare gli squilibri, facendosi carico di un rapporto lenitivo nel gioco di opposizioni, spesso violente e drammatiche, in cui si trovano ad agire.
Detto questo, il Lupin del Castello di Cagliostro è un perfetto esempio di eroe miyazakiano, non a caso dotato, ci pare, di una gentilezza e di una vulnerabile invincibilità che è del tutto peculiare rispetto alla connotazione seriale del personaggio (cui pure Miyazaki aveva contribuito sin dalla prima serie). Nelle sue linee generali, infatti, il film offre un perfetto scenario alla fantasia del Maestro: si parte con la classica fuga liberatoria (motivo dominante degli incipit di Miyazaki) nel cui cuore si pongono le basi del contrasto su cui si svilupperà l’intreccio; e si finisce nel non meno classico cuore di un mondo a parte, che qui è un vero e proprio regno – il regno di Cagliostro, appunto – un principato asserragliato attorno a un magnifico castello, che è a sua volta il tipico luogo/corpo miyazakiano, al cui interno si consuma l’intera complessità delle relazioni in gioco tra i personaggi, la loro indole e la struttura complessa e mutevole della realtà in cui agiscono e con cui interagiscono.
Lupin parte per la sua missione da una posizione quanto mai “ideale”: smascherare la zecca mondiale del denaro falsificato, ovvero ristabilire il rapporto tra (denaro) vero e falso, che per un ladro di professione è un po’ una questione ontologica, a scapito della stessa giustezza del proprio agire… Una posizione “ideale” che, come sempre in Miyazaki, ben presto si ribalta in qualcosa di ben più intimo, trovando nella prigionia di Clarissa – relegata sulla torre in attesa di forzato matrimonio col principe – la sponda sentimentale su cui far rimbalzare la propria missione.
Clarissa, dal canto suo, chiusa nell’alto irraggiungibile del suo bastione, è l’eroina letteralmente sospesa su questo mondo incantato, dove l’impero basato sull’ancestrale verità del sangue blu si fonda anche sul dominio tutto terreno del falso, ovvero dove la purezza si sporca con l’adulterazione, in una configurazione che riflette una vera e propria angoscia di Miyazaki per i mondi condannati a perdere la loro verginità. Clarissa è il corpo in bilico sul caos, tra ordine e disordine, tra luce e buio: coma Nausicaa incarna in sé il disequilibrio che cerca l’armonia, sostiene il peso di un’unione dalla cui verità scaturisce l’antico ordine, rappresentato in questo caso dalle vestigia dell’antica città romana sommersa. Di fronte a Clarissa, Lupin è in realtà il tipico aiutante miyazakiano che fa da fondamentale contrappeso in chiaroscuro e determina la realizzazione della vera natura dell’eroina e, di conseguenza, il nuovo equilibrio nell’universo posto in essere. Un equilibrio che, come sempre in Miyazaki, è frutto del principio dei vasi comunicanti, dove le forze in campo più che essere contrapposte vanno solo ricollocate in un sistema che tutto comprende e tutto contiene. E infatti Il castello di Cagliostro è un perfetto esempio di questo criterio radicato nel cinema del Maestro giapponese: un film in cui ogni avventura è un atto di transito da un livello all’altro, in una perenne comunicazione di spazi, fluidi, corpi, tra torri e sotterranei, botole e ponti aerei, corpi in volo, subacquei e sotterrati. Un film di ebbrezze e pesantezze, che non a caso, presentato a Cannes nel ’79, secondo la leggenda, strappò l’appassionato applauso di un allora giovane regista americano di nome Steven Spielberg…
Titolo originale: Lupin Sansei: Kariosutoro no Shiro
Regia: Hayao Miyazaki
Distribuzione: Mikado
Durata: 100’
Origine: Giappone, 1979