Ma Nuit – Intervista alla regista Antoinette Boulat

In occasione dell’uscita italiana il prossimo 12 gennaio del suo primo lungometraggio, Ma Nuit, abbiamo intervistato in esclusiva la regista del film già presentato a Venezia 78

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Antoinette Boulat è una casting director molto famosa nella natia Francia e internazionalmente per aver lavorato ad importanti progetti come The French Dispatch, Personal Shopper e Marie Antoinette, fra gli altri. Il suo primo lungometraggio Ma Nuit, presentato a Venezia nel 2021, esce nei cinema italiani il prossimo 12 gennaio per No.Mad Entertainment. Il film racconta la notte di una giovane ragazza, Marion, la quale dopo la morte della sorella, si troverà ad affrontare il lutto nonostante la giovanissima età. Durante la nottata parigina, Marion incontrerà Tom, un ragazzo molto intelligente e introspettivo e con lui passerà importanti momenti.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Ma Nuit si basa su un delicato equilibrio fra silenzi e dialoghi. Tu hai detto più volte di aver voluto fare un film “sensoriale” e questo si nota in diverse scene in cui non è presente alcun suono ma soltanto primi o primissimi piani dei protagonisti, ma non è affatto facile riuscire a dare vita ad un film che riesce a dare origine a sensazioni sia visuali sia verbali. Questo tipo di soluzione è stata presa sin dall’inizio oppure è arrivata con il tempo? 

Questa cosa è stata scelta dall’inizio poiché non volevo fare in alcun modo una cronaca sulla giovinezza. I giovani parlano tantissimo, sia di cose importanti che non importanti e io volevo in qualche modo replicare questa cosa. Produrre il film è stato difficile anche per questo motivo, dato che la sceneggiatura era molto scritta ma di fatto io non mi sono mai posta la questione se alla fine questo avrebbe funzionato o meno. Io ho avuto molta fortuna con gli attori che hanno davvero incarnato perfettamente le parole. Soprattutto Tom, il protagonista maschile, ha amato talmente il suo personaggio, si è riconosciuto talmente tanto in lui che ha detto le cose in maniera estremamente “viva”, al punto tale che nel momento in cui si parla di Nina Simone, Tom piangeva, tanto era commosso da quello che stava dicendo. Quando l’ho scritto non avrei mai pensato che sarebbe stato possibile. Per quanto riguarda i silenzi, spesso quando si è giovani si fa fatica ad accettarli, ma allo stesso tempo esistono. Marion in questo è molto indipendente, non è il tipo di persona che cambia la propria personalità a seconda degli altri e questo è importante per la riuscita della storia. Io credo che i giovani riflettano tantissimo, non c’è un unico modo per riflettere, ma sono tutti diversi ed è di questo che volevo parlare. Non volevo mostrare dei giovani che parlano male, sguaiati, privi di vocabolario, io penso che sia falso, che sia una facciata. Però per esempio ho anche deciso di non mostrare molti telefoni cellulari, perché nonostante sia una leggera forzatura narrativa, credo che farlo vedere crei un effetto terribile e che invecchi malissimo al cinema.

Nel film c’è un bellissimo scambio di battute fra Marion e un’infermeria italiana che spiega alla giovane ragazza il significato di volere bene. Possiamo dire che Marion cresce grazie al “bene” che Alex le vuole, al fatto che lui la ascolti. Potremmo dire che il messaggio finale sia quello di condividere la propria paura, la propria esperienza con qualcun altro. Non bisogna andare in giro di notte “tutti soli”, come dice anche Alex all’interno del film. Tu pensi che ci sia una morale nel tuo film? Volevi che ci fosse oppure sei contraria all’idea?

No, affatto. Non ho pensato per niente a questa cosa. Volevamo raccontare solo quella notte, senza andare ad indagare cosa ci sarà dopo. Le persone vedono molte cose diverse, è incredibile. Alcuni mi hanno detto che per loro Tom è un fantasma, che in realtà non esiste. Per me la storia fra Tom e Marion non è una storia d’amore, per me lei non cresce grazie a lui. La scena dell’ospedale rappresenta il fatto che lei non ne può più, la crisi che lei ha avuto è sintomo del fatto che ha raggiunto il limite. Ha mentito a se stessa per troppo tempo, a causa del dolore. Uno, dopo aver superato quel limite, smette di mentirsi. Trovo infatti che ci sia qualcosa di menzogna nella sofferenza, anche se penso quando uno sta male non veda le cose con chiarezza perché si soffre tanto. Lei scopre di aver sofferto troppo grazie alla crisi di panico che la risveglia. Tom la aiuta, l’accompagna, la supporta e questo gli fa certamente onore, ma il percorso è tutto di Marion. Però ovviamente credo anche che abbiamo bisogno degli altri per stare meglio, anche se spesso gli altri ci fanno anche del male. Se però devo trovare un messaggio che amo molto nel film è, lo citavamo prima, quando Tom cita la frase di Nina Simone: “La libertà è non aver paura”. Questa cosa l’ho aggiunta alla fine, quando la sceneggiatura era già finita, ma è fondamentale. La paura è terribile, per esempio guardiamo quello a che succede in Iran, quando sono stata con delle donne iraniane durante un festival abbiamo parlato proprio di questo elemento della paura. Quando non si ha paura si può essere se stessi. Secondo me durante la giovinezza la cosa più importante è proprio quella di sentirsi liberi di fare le cose e di essere autentici, non di divertirsi. Aver paura è molto facile e allo stesso tempo parlare del fatto di aver paura è visto come una debolezza, il che rende il tutto più complicato.

Molti giornalisti ti hanno già domandato quali siano stati i tuoi modelli dal punto di vista registico vista anche la tua enorme esperienza come direttrice di casting, grazie alla quale sei venuta a contatto con molti grandi autori. Ma tu hai mai avuto il desiderio opposto? Ovvero che fosse il tuo film a ispirare qualcun altro? E ci sono stati film che abbiano fatto lo stesso con te?

Sarebbe bellissimo se ci fossero persone ispirate dal mio film. Non credo che il mio film sia così bello per potermelo dire da sola. Io mi sono donata, ho fatto questo film, così tardivamente. L’ho fatto, è tutto. Ma anche se penso che il mio film possa ispirare gli altri in qualche modo, comunque credo che sia troppo pretenzioso dirlo con certezza, è impossibile. Molti mi hanno fatto venire voglia di fare cinema, questo sì, ma non uno in particolare. Ci sono molti film che adoro ma non ho mai pensato: “Ah sì, avrei voluto girarlo io questo film!”. Amo i film di Antonioni o di Rossellini per quanto riguarda l’Italia o Bresson e Godard la Francia per esempio, se un giorno arrivassi a fare un film come i loro, ovviamente sarei stracontenta. Ci sono registi, come quelli che ho citato, la cui regia è spettacolare, anche quando raccontano cose di minima importanza, il cinema è estremamente presente nel loro lavoro. Per me la regia è la cosa più importante, molto più della trama per esempio. Quando io sono spettatrice, è quello che mi affascina di più e che guardo con più attenzione.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array