"Magdalene" di Peter Mullan

L'intolleranza di Mullan per tutto ciò che possa deviare dalla propria risistemazione prospettiva del reale è allora la vera cifra del suo realismo. Lasciate stare la denuncia.

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Di fronte all'ultimo film di Mullan, ci viene in mente una domanda, un interrogativo forse retorico. In cosa consiste il realismo? In un atteggiamento intellettuale, in una pratica per così dire materica, o in un adeguamento oggettivo di certe costanti per così dire reali? Bella domanda, forse mal posta. Così, su due piedi, non sapremmo rispondere. Rifacciamoci però a quello che sta accadendo a certo cinema europeo, nel corso di quest'anno non sono stati poche le opere inglesi e non pronte ad agitare nervosamente la bandiera della denuncia sociale per affermarsi come sguardi contro un determinato ordine del reale. Non ultimo quel terribile Bloody Sunday, che, per l'occasione, andava ripescare nella storia irlandese degli ultimi trent'anni, la domenica di sangue del titolo. Qual è dunque il realismo dei Greengrass, dei Winterbottom, dei Loach e così via? Una forma di realismo che azzera il perimetro della forma per sbilanciarsi ossessivamente su quello del contenuto. Facciamo un passetto in avanti e diciamo pure che la forma si subordina al contenuto per annullarsi miseramente nella palude maleodorante del "messaggio", della tesi da dimostrare. L'assillo ossessivo di questi realisti inglesi è quello di cercare nuovi adepti che ricalchino la loro visione delle cose. La sola, la pura, l'unica ad imporsi con l'immediatezza dello schiaffo. Torniamo a Mullan e al suo Magdalene. Lo schiaffo dicevamo. Per meglio dire, la ripresa "oggettiva" della realtà di un istituto di redenzione degli anni 60', in cui delle giovani donne (colpevoli di essere rimaste incinta fuori dal matrimonio e così via) vengono maltrattate dal "personale" del luogo. Cos'è allora il realismo e soprattutto cosa la denuncia sociale? Per Mullan, un tutt'uno. Corpi violentati, macchina da presa tremolante, colori sgranati sull'orlo della deflagrazione. Tutto è molto reale. Tutto è molto cattivo. Non può che essere realismo questo, dirà qualcuno. Da quattro soldi, aggiungiamo noi. Quello che non riusciamo a sopportare di opere come questa è la nauseante circolarità dell'assunto generale. Un'idea da dimostrare, lo svolgimento della tesi, e l'enunciazione ambiziosa e distratta del risultato finale che si avvicina peraltro molto all'ipotesi iniziale. Non è cinema questo tripudio volgare di carne di-mostrata, questo continuo negarsi all'occhio di chi vede, perché le posizioni che trasudano da messinscene simili sono quanto di più vicino possiamo immaginare ad una vera e proprio medioevo dello sguardo. Non ci stancheremo mai di ripetere che il regno dell'oggettività non esiste, e che quello della denuncia basata su quest'ultimo dovrebbe restare soltanto il sollazzo ideale di chi crede davvero di capirlo questo mondo. Come si fa a restare in pace con la propria coscienza di fronte ad un tale scempio intellettuale? In Magdalene si assiste ad uno stupro, ad una continua serie di scene madri che inscenano una violenza che non può non far inorridire, ad un tentativo generalizzato di provocare sdegno e ripulsa. L'intolleranza di Mullan per tutto ciò che possa deviare dalla propria risistemazione prospettiva del reale è allora la vera cifra del suo realismo. Lasciate stare la denuncia. Ma soprattutto il cinema.


Titolo originale: The Magdalene Sisters
Regia: Peter Mullan
Sceneggiatura: Peter Mullan
Fotografia: Nigel Willoughby
Montaggio: Colin Monie
Musica: Craig Armstrong
Scenografia: Mark Leese
Costumi: Trisha Biggar
Interpreti: Geraldine McEwan (sorella Bridget), Eileen Walsh (Crispina), Nora-Jane Noone (Bernadette), Anne-Marie Duff (Margaret), Dorothy Duffy (Patricia/Rose), Mary Murray (Una), Britta Smith (Kathy), Frances Healy (sorella Jude), Eithne McGuinness (sorella Clementine)
Produzione: Frances Higson per PFP Films/Element Films
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 119'
Origine: Scozia/Gran Bretagna, 2002



 


 

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