Makanai, di Hirokazu Kore-eda

Nella sua prima serie per Netflix Kore-eda prosegue il discorso sulle famiglie disfunzionali iniziato già con Father and Son: niente più parentele, conta solo la ricerca di legami puri e lenitivi

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È dai tempi di Father and Son che il paradigma attraverso cui Kore-eda indaga la famiglia giapponese è oggetto di una profonda mutazione. Negli ultimi dieci anni, infatti, le dinamiche interne al nucleo famigliare non sembrano più definite dai legami di sangue, ma da un loro progressivo affrancamento, quasi a testimoniare la precarietà di un istituzione ormai scevra di codici immutabili o perlopiù dogmatici. Se in opere come Distance (2001), Nessuno lo sa (2004) o Still Walking è ancora la discendenza sanguigna – con tutte le problematiche che ne derivano – a restare al centro delle sue strutture, adesso è la rottura dei canoni classici su cui si definiscono le relazioni di parentela in Giappone a prendere il netto sopravvento. In questo senso le famiglie in Kore-eda si presentano sempre più all’insegna di gruppi eterogenei, come comunità di persone propriamente “estranee” in cui a contare è solo il sentimento di appartenenza al microcosmo in questione, senza l’esigenza o la necessità da parte dei personaggi di rispecchiarvisi in termini di lignaggio. Una traiettoria a cui questo Makanai, come vedremo, lega ogni sua istanza.

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In perfetta continuità con le famiglie “comunitarie” di Un affare di famiglia e Broker, anche in Makanai (prima serie Netflix per il regista) la giovane protagonista si fa portavoce di un nuovo senso di vivere, abitare – e infine, definire – l’ambiente domestico nipponico. Non è un caso, infatti, che il racconti inizi proprio con la partenza di Kiyo (Nana Mori) dall’abitazione dei suoi (reali) genitori, e il suo successivo approdo ad un contesto “famigliare” del tutto privo di legami genealogici. Nel momento stesso in cui la ragazza va a vivere insieme alla sua amica/sorella Sumire (Natsuki Deguchi) all’interno di una okiya (casa per le maiko, cioè le apprendiste geisha), non solo si avvicina alle arti e alle tradizioni di un mestiere fuori dal tempo moderno, ma entra in una dimensione comunitaria altra, dove i concetti di convivenza e convivialità vanno di pari passo con la definizione di un nuovo senso di familiarità.

Ed è qui che la serie – adattata dall’omonimo manga di Aiko Koyama – riesce a legare con estrema naturalezza le istanze di partenza del fumetto alle logiche più connaturate all’ultimo cinema del regista. Nonostante Kiyo non venga accettata come maiko – date le sue grandi abilità culinarie, verrà assunta invece nel ruolo di makanai (cuoca dell’abitazione) – riesce comunque ad entrare (e a vivere) in quella casa/comunità, ponendosi sullo stesso piano sia dei protagonisti “orfani” delle narrazioni di Kore-eda, sia dei nuovi canoni di identificazione parenterale a cui si sottopongono. Proprio come la Suzu di Our Little Sister, anche lei costruisce il suo processo di maturazione a partire dalla non-consanguineità dei legami, mai percepiti come inorganici o innaturali. Del resto, il termine con cui in Giappone si definisce la famiglia, kazoku, contiene già in sé i sintomi di un alterità relazionale, con gli ideogrammi ka (casa) e zoku (tribù) a suggerire una possibilità di trascendenza delle sue fondamenta dinastiche. Un aspetto tanto sottile quanto eloquente, che rende bene l’idea di come Kore-eda costruisca le sue famiglie disfunzionali non per anomalia o disfattismo, ma con un’immagine ben chiara e coerente di cosa significhi, al giorno d’oggi, ricercare un senso reale di appartenenza in una società sempre più pressante ed invasiva.

E in un contesto di forte scontro dialettico tra il dentro (uchi) e il fuori (soto), tra ciò che si vive all’interno della comunità e le logiche che regolano il mondo esterno (si pensi a I sette samurai) ecco che il cibo interviene sotto forma di agente primario di convivialità. Proprio come ne Le ricette della signora Toku o Bread of Happiness (Mishima, 2012) sono i pasti, e l’attenzione minuziosa alla loro preparazione, a fungere da collante per le relazioni interne alla okiya. È qui che le relazioni asimmetriche tra maiko (coloro che sono servite) e makanai (colei che serve) dissolvono qualsiasi barriera gerarchica, e si ri-posizionano su uno stesso piano emotivo, senza le asperità e i patemi a cui andrebbero in contro in contesti famigliari più sfacciatamente “tradizionali”.

E allora Kore-eda può anche permettersi di sorvolare sulle fatiche giornaliere, le pressioni e sul ferreo addestramento disciplinare di queste giovani ragazze, attestando il proprio sguardo ad un livello di osservazione catartica. Tutto qui è assolutamente puro, lenitivo. Ogni fotogramma sembra immerso in un’atmosfera di distesa serenità, dove a contare sono solamente i piccoli gesti di cortesia, dall’impatto così inaspettatamente semplice e genuino, che spiazzano per il loro trascinante calore conviviale. Poi certo, in Makanai non c’è mai quella sequenza rivelatrice tipica di Kore-eda, che alla pari di una folgorazione elettrica, trasforma improvvisamente il racconto in una vertigine emotiva devastante. Eppure è così facile abbandonarsi alla sincerità di questa storia. E abbassare completamente le difese, fino a crollare. Da qui terminano e insieme hanno inizio tutte le istanze del suo cinema. Teso, mai come questa volta, a sacrificare un po’ di gravitas, pur di affermare la propria singolare idea di famiglia comunitaria. Perché a volte, sembra suggerire il cineasta, la parentela non si eredita, ma la si sceglie. Forse solo così è possibile sfidare le certezze acquisite del presente. Ridefinendo i canoni attorno a cui ruoteranno le relazioni famigliari del futuro.

Titolo originale: Maiko-san Chi no Makanai-san
Regia: Hirokazu Kore-eda, Takuma Sato, Megumi Tsuno, Hiroshi Okuyama
Interpreti: Nana Mori, Natsuki Deguchi, Ai Hashimoto, Aju Makita, Jyo Kairi, Momoko Fukuchi, Kotoko Wakayanagi, Kotona Minami, Lily Franky, Yukiya Kitamura, Toshinori Omi, Kanji Furutachi, Keiko Toda, Kayoko Shiraishi, Keiko Matsuzaka, Mayu Matsuoka, Arata Iura, Takako Tokiwa
Distribuzione: Netflix
Durata: 9 episodi da 38-46′
Origine: Giappone, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
4.5 (8 voti)
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