Malala, di Davis Guggenheim
Dal 5 novembre nelle sale italiane il documentario sulla ragazza che ha conquistato tutto il mondo con la sua storia, fatta di coraggio ed estrema forza. Distribuito dalla 20th Century Fox.
È meglio vivere un solo giorno da leoni, che mille da schiavi. Questo è il pensiero del Premio Nobel per la Pace 2014 Malala Yousafzai, nonché protagonista del documentario Malala diretto da Davis Guggenheim e dal 5 novembre al cinema distribuito dalla 20th Century Fox. Non ha avuto paura la piccola ragazzina pakistana, ribelle per natura, decisa a combattere con la parola le “leggi” dettate dai talebani nel suo paese, tra le quali una vieta alle donne il diritto d’istruzione. È contro questa ingiustizia che la figlia di Ziauddin Yousafzai, attivista anti-talebani, ha iniziato la sua guerra, partendo dal Pakistan, ma richiamando l’attenzione di tutto il mondo.
Malala decide di non restare in silenzio la maggior parte della popolazione: vuole farsi sentire, divenendo così una minaccia per i talebani, che il 9 ottobre 2012 la colpiscono alla testa. Si teme il peggio, ma la ragazza è forte e sopravvive. Da lì, per lei e la sua famiglia, inizia una nuova vita, raccontata dal regista vincitore del Premio Oscar con il documentario Una scomoda verità. Adesso Malala si trova in Inghilterra, a Birmingham, dove è stata curata dalle ferite riportate dall’attentato.
Le immagini ci mostrano una ragazza, anzi, una donna consapevole del valore del suo messaggio, “un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo” è il suo credo. Una donna che viaggia costantemente per tutto il globo per far sì che quelle 66 milioni di bambine senza istruzione la ricevano. Ma è anche una ragazzina di 17 anni che gioca a braccio di ferro con il fratello, che si vergogna di mostrare dei voti non troppo positivi, che con molta disinvoltura dichiara che i suoi libri preferiti sono Breve storia del tempo di Stephen Hawking e L’alchimista di Paulo Coelho.
Guggenheim non si focalizza totalmente su Malala, anche se la sua presenza è chiaramente preponderante. C’è anche la famiglia, soprattutto il padre, che le ha dato il nome di Malala in onore dell’eroina afghana Malalai, che le ha insegnato il credo dell’Islam pacifico, che le ha trasmesso la forza e il coraggio di opporsi ai soprusi. Oltretutto, il regista riesce non solo a riempire la storia utilizzando materiali audiovisivi di repertorio, ma ha la brillante idea, insieme all’animation designer Jason Carpenter, di adoperare delle immagini poeticamente animate: le leggende, storie del passato, atti violenti, tutto ciò che la mdp non può raggiungere viene raggiunto da un disegno molto particolare e originale, dotato di una immensa forza espressiva, dando quella profondità emotiva che la realtà non può dare.
La mdp, però, osserva i pensieri di Malala, traduce i suoi sguardi timidi, a volte determinati, raramente tristi, nonostante tutto. “Non mi piace parlare del mio dolore” dice Malala, un dolore che riesce a incanalare in energia positiva, in forza, tanto da essere un esempio di libertà e uguaglianza non solo per i popoli che hanno a che fare con i vari Fazlullah, non solo per il diritto all’istruzione femminile, ma per qualsiasi lotta nel mondo contro qualsiasi nemico.
Titolo originale: He Named Me Malala
Regia: Davis Guggenheim
Interpreti: Malala Yousafzai
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 88′
Origine: Arabia Saudita/Usa 2015