MANGA/ANIME – Capitan Harlock
In occasione dell'uscita del film di Shinji Aramaki, esploriamo le principali incarnazioni del più celebre personaggio creato da Leiji Matsumoto, icona di un immaginario orientato alla suggestione e al trionfo dell'utopia, dagli anni Settanta al presente
Per ammissione dell'autore, la “Yamato” è l'opera della svolta, quella che dona una maggiore definizione all'ideale di un uomo che non si arrende di fronte alle difficoltà, ma questo Harlock compare unicamente nella versione a fumetti e non in quella animata, da noi nota come Star Blazers: devono passare altri tre anni e finalmente, nel 1977, l'uscita del manga “Capitan Harlock”, ci consegna il pirata così come lo conosciamo oggi, nell'aspetto e nella caratterizzazione emotiva. Nel dare forma al suo personaggio più simbolico, Matsumoto fonde una quantità eterogenea di elementi: da un lato l'avventura piratesca puramente intesa e l'amore per l'aeronautica e la fantascienza, dall'altra il dramma musicale L'Anello del Nibelungo di Richard Wagner, con Harlock quale moderna incarnazione di Sigfrido – un riferimento che verrà esplicitato nel 1999 con Harlock Saga. Il nome dell'astronave Arcadia, così come l'iconografia angelicata delle donne diafane e biondissime (già viste ne “La corazzata Yamato”) pagano invece pegno al film Marianne de ma jeunesse di Julien Duviver, molto noto in Giappone e particolarmente amato dall'autore, tanto da costituire l'architrave del successivo film L'Arcadia della mia giovinezza, in cui si rievoca il passato del pirata.
Il risultato di questo intreccio di elementi è una figura proiettata nel futuro, ma fieramente anacronistica nella sua incarnazione utopistica di valori perduti: Capitan Harlock è infatti un fuorilegge solitario, il cui peregrinare nello spazio riflette la sua profonda malinconia interiore. Che è articolata su un doppio registro: da un lato quello intimo e personale di chi ha perduto gli amici più cari; dall'altro quello globale di un uomo che ripudia il declino intellettuale e morale della Terra, ormai asservita a un governo corrotto che ha istupidito l'umanità con la logica del panem et circenses (idea che, come si può notare, è ancora oggi molto attuale). Ma quando la malvagia razza aliena proveniente dal pianeta Mazone minaccia di assoggettare il suo pianeta, Harlock si erge quale ultimo baluardo per un'umanità che pure lo disprezza.
La lettura di queste righe dovrebbe chiarire immediatamente come la figura del pirata di Matsumoto si intrecci perfettamente a un sentire abbastanza diffuso negli anni Settanta, che sta a metà strada fra la persistenza dell'utopia istillata nel cuore della società dal decennio immediatamente precedente, e la disillusione di chi ormai sa di non poter cambiare la realtà e preferisce per questo una fuga isolata. Harlock come i supereroi con superproblemi o i ribelli lucasiani, insomma, è una figura che esprime una crisi interiore, ma è pure incapace di soffocare l'idea di poter incarnare un punto di vista differente e refrattario all'autorità. L'astronave Arcadia con cui il pirata solca i cieli spaziali diventa così una sorta di futuristica Comune, in cui la gerarchia imposta dal grado di Capitano si armonizza idealmente con l'intento di realizzare un'eterogenea famiglia allargata, composta da umani e alieni, dove ogni personaggio ha il suo posto e può dare sfogo a quella vivacità umana e intellettuale altrimenti negatagli dall'ignava condizione della Terra (fatto che peraltro permette a Matsumoto di mescolare abilmente l'afflato malinconico della storia con alcuni deliziosi siparietti ironici). La vicenda è narrata dal punto di vista di Tadashi, un giovane terrestre salito sull'Arcadia, che impara progressivamente a capire il punto di vista di Harlock, incarnando il punto di vista del lettore.
Poiché Matsumoto predilige un tipo di narrazione ellittica, che aggiunge ogni volta nuovi elementi ma non tiene conto della continuity e spesso abbandona la narrazione con dei finali aperti, è la serie animata del 1978 (trasmessa in Italia dalla Rai) a costituire il fulcro centrale dell'intero ciclo di Harlock. La trasposizione del manga, infatti, si giova dell'approccio “industriale” imposto dalla Toei Animation, che razionalizza la vicenda analizzandone alcuni spunti in maniera più definita, pur riuscendo miracolosamente a mantenere, se non addirittura ad ampliare, la componente intimista e contemplativa rispetto ai fatti e agli scenari spaziali della versione cartacea. I meriti maggiori sono da ascrivere alla splendida partitura musicale di Seiji Yokoyama, in grado di creare un tappeto sonoro che mantiene costante il senso di decadenza e di perdita che affligge il personaggio; e poi all'ispirata regia di Rin Taro, che opta per un ritmo disteso e meditativo, e per soluzioni visive di matrice espressionista, con sfondi poco definiti, e macchie di colore che occupano la maggior parte delle inquadrature, descrivendo visionarie geometrie tanto negli scenari spaziali, quanto in quelli urbani. La palette cromatica predilige soprattutto i neri e i rossi, ritagliando zone d'ombra persistenti che donano spesso una caratura bicromatica al quadro, in grado di far apprezzare maggiormente gli inserti pittorici (che comprendono suggestioni impressioniste e surrealiste). Un capolavoro, in grado di restituire visivamente l'utopia di uno spazio come enorme campo di battaglie, ma anche quale frontiera dei sogni, simboleggiati dall'impossibile riunione fra Harlock e l'eterno amico Tochiro, che scopriremo infine essere vivo con il suo spirito nel computer dell'Arcadia.
Il regista compie scelte molto precise sul personaggio, qui ammantato da una carica dark cui sembra aver attinto a piene mani Shinji Aramaki per la recente versione cinematografica in CGI; e la storia diventa un momento di confronto fra la speranza incarnata dall'Arcadia e la paura primordiale insita nell'animo umano, che crea un ideale ponte con Harmagedon – La guerra contro Genma, sempre di Rin Taro. Meno pittorico della serie del 1978, nonostante non sia privo di scelte visive intriganti, il nuovo arco narrativo patisce una certa fissità delle animazioni (sebbene il consueto ritmo contemplativo permetta di assorbire il difetto senza troppi scossoni), ma colpisce per l'inedita vena horror che lo pone quale cuore oscuro dell'intero affresco spaziale. Matsumoto comunque ha ribadito i suoi distinguo, imponendo la traslitterazione alternativa “Herlock” (la pronuncia rimane in ogni caso la stessa), al punto che questo terminale seguito finisce per porsi come ennesimo what if di una storia che continua a prediligere la suggestione più che le singole incarnazioni del personaggio, ribadendo il valore dell'immaginazione in quanto forza che si autorifonda continuamente, se ben incanalata dalle icone in grado di trasmettere i valori giusti. Anche per questo, l'affetto dei suoi appassionati è rimasto costante nel tempo.
1: da Intervista – Leiji Matsumoto, a cura di Saburo Murakami, in “Man-Ga – Voci e anime dal Sol Levante” n. 2, dicembre 1997.
Capitan Harlock filmografia:
1978 – Capitan Harlock (serie tv, 42 puntate)
1978 – Galaxy Express 999 (serie tv, 113 puntate)
1979 – Galaxy Express 999 (film)
1981 – Addio Galaxy Express 999 (film)
1982 – Capitan Harlock: L'Arcadia della mia giovinezza (film)
1982 – Capitan Harlock SSX (serie tv, 22 puntate)
1994 – Fire Force DNA Sights 999.9 (OAV singolo)
1998 – Galaxy Express 999: Eternal Fantasy (film)
1999 – Queen Emeraldas (serie OAV, 4 puntate)
1999 – Harlock Saga: L'Anello dei Nibelunghi – L'oro del Reno (serie OAV, 6 puntate)
2001 – Cosmowarrior Zero (serie tv, 15 puntate)
2002 – Space Pirate Captain Herlock: Endless Odyssey – Outside Legend (serie OAV, 13 puntate)
2004 – Space Symphony Maetel (serie tv, 13 puntate)
2013 – Capitan Harlock 3D (film)