MANGA/ANIME – Gen di Hiroshima

Gen di Hiroshima

Il racconto del bombardamento atomico subito dal Giappone nell'agosto del 1945, attraverso gli occhi di un bambino: arriva in Italia per Hikari uno dei capolavori assoluti della storia del fumetto, dolente riflessione sulla necessità di ripristinare la verità in un mondo di forme spogliato di ogni riferimento e totalmente da ricostruire

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Gen di HiroshimaKeiji Nakazawa, scomparso nel 2012, è stato per tutta la vita un hibakusha (letteralmente “sopravvissuto”), uno dei pochi superstiti del mortale bombardamento atomico che ha colpito Hiroshima il 6 Agosto del 1945. Quando l'ordigno nucleare è esploso nei cieli della sua città, Nakazawa aveva appena 6 anni, è stato testimone della morte di parte dei familiari e ha vissuto sulla sua pelle la difficile ricostruzione, cui è seguito il non meno complicato destino degli hibakusha, figure scomode per come incarnano ancora adesso tanto l'onta della sconfitta subita dall'Impero nipponico, quanto le colpe dei carnefici (oggi alleati) che hanno imposto alla popolazione civile l'unico olocausto nucleare che la storia ricordi.

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A tutto questo Nakazawa ha risposto con il suo talento e la dedizione per il disegno, che lo hanno spinto a diventare fumettista e a raccontare la sua storia in quello che oggi è considerato uno dei capolavori assoluti del manga e uno dei titoli più rappresentativi del filone “Genbaku bungaku” (letteratura della bomba atomica): Gen di Hiroshima. Pubblicato a partire dal 1973 e sviluppato per vari editori fino al 1985, il manga racconta l'arco temporale dai 6 ai 14 anni di Gen Nakaoka, un bambino di Hiroshima che subisce la stessa sorte toccata all'autore, e spinge il lettore a confrontarsi con un evento traumatico, rimasto sepolto dalle pieghe della Storia e che nel tempo le autorità hanno preferito rimuovere in nome della pacificazione e del nucleare “buono” (quello delle centrali elettriche, che poi ha portato al disastro di Fukushima, in un terribile ricorso storico a parti rovesciate).

 

Nakazawa parte dalla vita quotidiana del suo giovane alter ego, ne racconta il rapporto con i genitori e i fratelli, in un'infanzia sovrastata da una figura paterna estremamente critica verso la guerra, vista come strumento di propaganda imperiale, promossa da una politica che non esita a sacrificare il benessere dei cittadini per ragioni di potere. Questa lucidità di giudizio è però fonte di scontri con le autorità e con la gente comune, ligia ai doveri imposti dalla dottrina patriottica, che per questo non esita a bollare i Nakaoka come traditori del più autentico spirito giapponese. Da qui il racconto si dipana lungo la doppia direttrice offerta dal ribaltamento delle prospettive correnti e dal rapporto di avvicinamento e separazione con la figura del padre. Lo stesso titolo originale Hadashi no Gen (letteralmente “Gen dai piedi scalzi”) indica sì il contatto con una terra radioattiva su cui “puntare i piedi scalzi” in segno di protesta, ma anche l'inevitabile privazione del padre, morto nel bombardamento, e che per lavoro decorava proprio i caratteristici geta, i sandali con suola in legno giapponesi. A lui Gen continuerà a fare riferimento, ricordandone gli insegnamenti e l'incrollabile fede nei valori imposti da una visione della vita “come il grano”, capace di crescere anche se calpestato.

 

Una vignetta del mangaL'operazione di Nakazawa, dunque, va al di là della pur significativa elaborazione del lutto compiuta da un sopravvissuto che ha visto distrutto tutto il suo mondo: questo aspetto, anzi, si integra a una attenta ricognizione storica, che da un lato non perdona i torti imposti dagli Alleati che hanno sganciato la bomba e, dall'altro, ci consegna un'analisi lucida e spietata dei meccanismi interni alla società giapponese, aprendosi a considerazioni universali sulle azioni dell'umanità. Molte delle caratteristiche tipiche della rappresentazione nipponica tradizionale vengono infatti ribaltate e quello che si palesa è un mondo distante dai classici modi cortesi e ordinati che hanno reso nel tempo “esotico” il paese asiatico: al contrario, il Giappone di Gen è violento e incattivito, basato sulla sopraffazione reciproca e sulla devozione opportunista verso il fanatismo propagandista imposto dalla politica dell'Imperatore e del governo nazionale. Gen si ritrova così ad affrontare tanto gli sbagli della politica quanto la meschinità dell'agire altrui, in una escalation di eventi che contemplano le sofferenze fisiche imposte dalla malnutrizione e quelle psicologiche del vivere in un mondo diviso da particolarismi e questioni razziali o ideologiche.

 

In questo modo Nakazawa svela il suo intento storico-sociologico, ma lo fa spinto da una forza non tanto intellettuale, quanto schiettamente umorale, che ammanta il lavoro di un potente lirismo: Gen, infatti, mentre cerca di sopravvivere senza arrendersi alle ingiustizie, si vendica dei torti subiti, seguendo un'indole tanto infantile quanto pugnace. Il ritratto è estremamente veritiero nella misura in cui ci mostra vittime e carnefici spinti da debolezze e stati d'animo estremi. La fame porta Gen e i suoi fratelli a piangere, fare i capricci, attuare piccoli sotterfugi reciproci, e spoglia in tal modo il racconto di qualsiasi artificio retorico. La figura di Gen è via via privata di qualsiasi aura eroica (sia a livello narrativo che estetico, con la perdita dei capelli dovuta alle radiazioni atomiche), e iscrive pertanto le ragioni di un sentire storico nella quotidianità delle azioni compiute da ogni essere umano, dove la catastrofe globale si fa riflesso delle dinamiche interpersonali. In tal modo, Gen suscita una forte empatia con il lettore, colpito dal suo ostinato attaccamento alla vita che lo porta a improvvisi gesti di altruismo e a praticare una misericordia sempre orientata a contrastare la cattiveria altrui: il ragazzo si fa perciò incarnazione vivente del ribaltamento delle prospettive caro all'autore, e cerca di opporre i propri valori a un mondo che sembra aver dimenticato ogni umanità.

 

La devastazione di HiroshimaLa caratterizzazione grafica del manga sembra proprio voler esprimere questo conflitto tra l'apparenza e la verità: lo stile di disegno è tondeggiante, con figure piene e a tratti caricaturali, tipiche della tradizione imposta dal Maestro Osamu Tezuka (amatissimo dall'autore), insieme a una mescolanza di toni che lascia spesso emergere il comico dal tragico. Ma questa trasfigurazione grottesca, conferisce al contempo una viscerale fisicità alla storia, capace di non far venir meno la forza tragica degli eventi e il senso di sofferenza e orrore che i protagonisti si trovano a provare in ogni circostanza. Gen resta a ogni passo un bambino in un mondo di adulti, con i suoi sogni e le sue speranze, ma l'inferno che lo circonda è pulsante e reale nell'immanenza dei corpi devastati dal “Flash” (la luce mortale dell'esplosione atomica) e ridotti a involucri di un'umanità sofferente e rancorosa. La dimensione fisica si disgiunge da quella ideale e se lo spirito resta più forte, i corpi mostrano la loro caducità, a volte si confondono tra loro e ci consegnano in tal modo una storia sul valore reale dell'identità, in un mondo di forme spogliato di ogni riferimento e totalmente da ricostruire.

 

Con il tempo, Gen di Hiroshima ha raggiunto meritatamente lo status di classico, è stato inserito nelle biblioteche scolastiche giapponesi per il suo forte valore artistico e storico e dalle sue pagine sono state tratte delle riduzioni cinematografiche in formato Live Action e animato: in particolare si segnala il film d'animazione omonimo, diretto nel 1983 da Masaki Mori per lo Studio MadHouse, che reinventa il design grottesco di Nakazawa alla luce dell'estetica più barocca del cartooning anni Ottanta. Si riverbera in questo modo il gioco delle forme tra l'eleganza plastica dei personaggi e la cupezza dei colori in grado di esprimere l'olocausto nucleare con impeto visionario.

 

GEN IN ITALIA

 

Se le trasposizioni restano a tutt'oggi inedite in Italia e circolano soltanto in versione fansub, anche il manga non ha avuto vita facile nel nostro paese: Gen di Hiroshima è stato infatti pubblicato coraggiosamente da Panini per la prima volta nel 1999, in un'edizione purtroppo incompleta perché basata su una versione ridotta per il mercato americano. Dopo quasi vent'anni di silenzio, ora è la Hikari (etichetta di 001 Edizioni) a farsi carico dell'impresa, condotta con scrupolo filologico a partire dall'integrale raccolta giapponese in dieci volumi, qui proposta in maxi libri da oltre 1000 pagine ciascuno, in formato 17×24 cm. Al momento è disponibile il primo, che raccoglie i primi quattro capitoli originali: l'edizione si presenta imponente, con carta di ottima grammatura e rilegatura a filo, resistente e in grado di assicurare la più pratica “flessibilità” a un volume che rischiava altrimenti di risultare troppo scomodo da leggere. Oltre al ripristino delle tavole mancanti nella precedente edizione e alla resa delle vignette a colori (dove originariamente presenti), l'edizione si segnala anche per il ricco apparato redazionale, di circa 40 pagine. Troviamo così un'introduzione dell'autore, un saggio di Marcella Mariotti e Tiziana Vischi sulla vita editoriale del manga, e infine una lunga parte dedicata ad approfondire l'imponente lavoro di traduzione effettuato sul particolare linguaggio e sulle molte canzoni presenti nel testo. Un investimento importante per un titolo immancabile in libreria.

 

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