MANGA/ANIME – Makoto Shinkai e Il giardino delle parole
La carriera e l'ultimo lavoro di uno dei nomi più rappresentativi della scena anime contemporanea, dai primi cortometraggi realizzati in completa autonomia agli ingombranti paragoni con Hayao Miyazaki: il cantore di una poetica fatta di realtà complesse e emotivamente disordinate, dove emerge l'amore per gli opposti
Non è da tutti darsi all'animazione e raggiungere il successo con un cortometraggio girato in totale autarchia, figurarsi poi se ciò avviene prima di aver compiuto trent'anni! Makoto Shinkai lo ha fatto e il suo azzardo si è rivelato a tal punto vincente che oggi il suo nome è considerato uno dei più rappresentativi della scena anime. Nato a Nagano nel 1973, Shinkai ha infatti abbandonato il lavoro presso l'azienda di videogame Falco per realizzare, nel 2002, il lavoro che l'ha reso più celebre, La voce delle stelle (in Italia in DVD per d/visual), racconto fantascientifico di appena 25 minuti su una giovane coppia divisa dallo spazio e dal tempo.
Lei, Mikako, si è infatti arruolata nell'esercito delle forze terrestri per combattere gli alieni Tarsians, mentre lui, Noboru è rimasto sulla Terra e le comunicazioni tra i due proseguono via sms, anche se la sempre maggiore distanza dei viaggi interstellari prolunga i tempi d'attesa per l'arrivo dei messaggi. L'idea di unire fantascienza e un tono più esistenziale fa venire in mente l'Hideaki Anno di Gunbuster e, in misura minore, Evangelion, ma Shinkai infonde al racconto un afflato malinconico sconosciuto al precursore e una grande capacità di lavorare su sfumature opposte: nel confronto continuo fra avveniristiche battaglie spaziali e una scansione degli eventi che restituiscono il senso precario dell'identico affastellarsi delle giornate sulla Terra, vediamo infatti riflesse tanto la struggente caducità dei sentimenti, quanto la pervicacia di due amanti lontani che trovano nel loro impossibile legame la forza per andare sempre avanti.
La tecnica è ancora acerba, frutto di un approccio totalmente indipendente (l'autore firma scrive, dirige e si occupa delle animazioni), ma Shinkai dimostra di avere già un immaginario definito, con alcuni punti tematici che torneranno nei lavori successivi: fra il 2004 e il 2011, infatti, il nostro affina e mette a punto il suo universo nei lungometraggi The Place Promised in Our Early Days (2004), 5 cm per secondo (2007) e Viaggio verso Agartha (2011). Passando, senza soluzione di continuità, da contesti ancora vicini alla sci-fi ad altri più realistici e sempre attenti a indagare il senso della comunicazione e il fardello dei sentimenti, Shinkai incassa i consensi della critica, che inizia a muovere paragoni con l'opera di Hayao Miyazaki, per la cura formale dei lavori, l'attenzione alla forza dei sentimenti in rapporto alle avventure dei protagonisti, e il tono poetico, attento anche alle possibilità espressive offerte dagli elementi naturali. L'autore, dal canto, suo, ringrazia e non nasconde i debiti di ispirazione verso Miyazaki, pur precisando che la sua figura, così “ingombrante” all'interno dell'industria animata giapponese è un riferimento obbligato per chiunque intraprenda quella strada.
Se i lavori in questione hanno da noi una distribuzione limitata al mercato home video (la distribuzione è curata da Kazé), l'occasione per una scoperta in grande stile dell'opera di Shinkai è avvenuta soltanto lo scorso 21 Maggio, quando Nexo Digital ha distribuito nelle sale italiane il suo ultimo lavoro, il mediometraggio Il giardino delle parole, realizzato nel 2013. E' ancora la storia di un incontro, quello fra lo studente Takao e la più matura Yukino, di 12 anni più grande. I due si conoscono in un parco dove il ragazzo si reca per lavorare al suo hobby, disegnare modelli di scarpe, in previsione di una futura attività da calzolaio. Lei è afflitta da un male di vivere i cui motivi saranno rivelati nella seconda parte della storia e il rapporto fra i due si costruisce attraverso lievi scambi di impressioni e la condivisione di elementi concreti (il cibo, i disegni del ragazzo, i piedi della donna che fanno da modello per un nuovo paio di scarpe) insieme ad altri più impalpabili: un certo sentire condiviso della vita, la tendenza a stare fuori dai giri per isolarsi nei propri pensieri, un vuoto esistenziale che, nel caso di Takao, sembra legato a un rapporto difficile con la madre, sempre assente da casa.
Appare quindi evidente la cifra più “problematica” insita in questa nuova storia d'amore che mette in scena un rapporto fra due anime molto vicine, sebbene appartenenti a due modelli sociali così diversi: un adulta e un'adolescente, ma anche un'insegnante e uno studente. Shinkai non nasconde i sottotesti più difficili, ma li usa in senso non moralistico, come base per una nuova ricognizione malinconica sulla comunicazione fra due universi costretti, malgrado la reciproca affinità, a dover mantenere la loro distanza. La delicatezza dei toni e la raffinatezza estetica si accompagnano così a un racconto di realtà complesse e emotivamente disordinate, tali da confermare l'apprezzamento dell'autore per gli opposti.
Sfruttando abilmente fonti di luce che tagliano l'inquadratura trasversalmente e conferiscono una qualità soffusa alle immagini, Shinkai rende infatti quasi trasparenti le sue figure, in modo da conferire una maggiore forza espressiva ai fondali naturalistici, esaltati da colori particolarmente vivi: il disegno molto pulito offre una qualità quasi documentaristica nel ritratto di animali e piante del parco, e si accompagna alla caratterizzazione più sfumata delle figure umane, che tendono naturalmente a confondersi con il paesaggio, come a voler rimarcare tanto il loro esserci in quel contesto, quanto la tendenza a astrarsi dalla realtà cittadina. Si attua in questo modo un doppio registro, dove la concretezza degli elementi rimarcati in precedenza, unita alla rappresentazione estremamente veritiera della vita in città, si unisce a un coacervo di sentimenti tumultuosi e in perenne cambiamento. L'ambientazione nella stagione delle piogge fornisce la giusta chiave espressiva: sempre presente, dapprima in modo più discreto e poi via via sempre più forte, l'acqua modula la trasparenza dei personaggi, permettendo il passaggio dal tono più fiabesco della prima parte a quello più impetuoso della seconda, mantenendo sempre il senso di malinconia e di felicità impossibile cari all'autore.
Il paragone con Miyazaki, magari richiamato ancora dall'elemento naturalistico, diventa quindi meno calzante: proprio volendo mantenere la traccia dell'influenza dalle opere dello Studio Ghibli, bisogna guardare a quelle più realistiche, come I sospiri del mio cuore e La collina dei papaveri. Ma l'impressione, ora più forte che mai, è che si sia di fronte a un autore capace di trasfigurare le ansie del proprio tempo con uno stile ormai personale e un'esigenza espressiva giunta definitivamente alla maturità, senza l'ausilio di modelli e precursori.
IL GIARDINO DELLE PAROLE – TRAILER