MANGA/ANIME – La mia vita in barca, di Tadao Tsuge

Arriva in Italia un prezioso manga d’autore, lieve e poetico, capace di traslare la vicenda realistica in un’ottica ideale e metaforica, per parlare al vissuto della nazione stessa

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L’interesse dell’editoria italiana per il gekiga – la branca più adulta e “d’autore” del fumetto giapponese – permette al pubblico nostrano di confrontarsi con figure altrimenti dimenticate, spesso anzi fondamentali per capire le profonde riflessioni dell’arte sequenziale sulla Storia e la società dell’Arcipelago. In un simile scenario si va a porre l’opera di Tadao Tsuge, fratello del più noto Yoshiharu, per anni pressoché sconosciuto nel nostro paese, di cui ora è disponibile il prezioso La mia vita in barca, realizzato fra il 1997 e il 2001.

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Con piglio cronachistico, l’autore racconta la vita del suo alter ego Tsuda, scrittore in crisi, refrattario al lavoro nel negozio di jeans gestito da moglie e figli, e animato da una passione sincera per la pesca: la storia inizia con l’acquisto di una barca in cui l’autore si isolerà tre giorni al mese, per lavorare al suo romanzo e dedicarsi al suo hobby, e, nel primo dei due volumi attualmente disponibili, segue un intero anno di vita, dalla bella stagione all’inverno.

Realizzato per la rivista di pesca sportiva “Comic Tsuritsuri”, La mia vita in barca è un racconto lieve e poetico, in cui l’attaccamento di Tsuda al suo hobby sul fiume si colora di sfumature via via sempre più riflessive: il protagonista vive varie esperienze, incontra buffi personaggi che condividono i suoi interessi e portano in dote un variegato bagaglio esperienziale, e riflette sul suo senso di distacco dalla realtà, sugli anni trascorsi in una vita che si rispecchia inevitabilmente nella Storia stessa del Giappone. Il contesto, sebbene lasciato sullo sfondo, è infatti molto presente, dalla crisi economica di fine anni Novanta – periodo in cui l’opera è stata concepita – e che attanaglia l’attività di famiglia, al passato di stenti durante la guerra. Tsuda risalta in questo modo come una figura che anela alla fuga da un mondo al quale pure non può evitare di appartenere e la sua passione per la pesca assume varie sfumature: c’è il desiderio di pace inevasa, per le interruzioni date dalle altrui presenze o da eventi ora ilari, ora più malinconici e teneri; c’è la voglia di recuperare una dimensione edenica, attraverso un rapporto con la natura che sia privazione degli orpelli della modernità; ma c’è anche la consapevolezza critica di quanto difficile (e forse anche poco ideale) sia la regressione a uno stato pre-moderno dopo aver provato gli ozi del progresso – uno stato ondivago che evidentemente contraddistingue la generazione passata dagli stenti al boom economico, fino alla nuova recessione. L’unico che sembra riuscire a conciliare questa frattura è l’anziano Hokusai, maestro di vita che dispensa saggezza e serenità, nonostante o forse grazie all’amnesia che gli fa credere di essere ancora nel primo dopoguerra. L’equilibrio, insomma, è qualcosa fuori dal tempo: Tsuda, dal canto suo, resta invece diviso fra la voglia di rimanere per sempre in barca e la consapevolezza che ogni tappa non può durare più di tre giorni.

miavitainbarcavignetta1Così, il turbinare di sensazioni genera riflessioni ora profonde, ora più apparentemente frivole, come il protagonista capace di fermarsi spesso a rimuginare sul senso di ciò che fa, eppure sempre distratto, fuori contesto, deriso amichevolmente da chi gli sta vicino e perciò refrattario a imprimere una direzione precisa alle sue azioni, cui preferisce l’ozio in barca, nonostante le disavventure del caso – febbri, punture di zanzare e tanto altro.

Il continuo andirivieni di emozioni è reso attraverso una narrazione dal ritmo disteso ma vivace, che cerca il pieno nell’incompiuto e che perciò spezza spesso le azioni attraverso la scansione dei capitoli e trasforma anche i protagonisti in figure fluttuanti, che a volte spariscono nel vento. In altri casi lo vediamo dialogare con un cadavere che galleggia sulle acque, o confrontarsi con altri pescatori che si allontano sul fiume, mentre le voci si spengono in eco lontane – in scene di lirismo poetico che sembrano anticipare i film dell’ultimo Miyazaki, quello più realistico e riflessivo, ma sempre capace di evocare la meraviglia con la delicatezza di un gesto.

Il disegno, a sua volta, riflette questo registro mutevole: le figure umane sono caricaturali e vicine alla tradizione del manga classico (alla Osamu Tezuka) e le reazioni risultano eccessive, marcate, mentre l’ambiente è reso con grande cura per i dettagli e un tratteggio in grado di restituire la delicatezza di spazi in cui si consuma lo scontro fra tradizione e modernità: da un lato, infatti, la calma millenaria della natura, dall’altro i segni del passaggio dell’uomo, tra barche e rifiuti che qualcuno cercherà anche di trasformare in una bizzarra installazione artistica, dando così forma a un finale-capolavoro di grande potenza espressiva, sempre nella delicatezza generale dell’insieme.

La mia vita in barca in Italia

Il primo dei due volumi che compongono l’opera di Tsuge, La mia vita in barca – Radure sconfinate, inaugura la “Collana Gekiga” di Coconino Press, dimostrando la predilezione di questo editore per il fumetto di qualità. La prima tornata comprende anche il bellissimo Elegia in rosso, di Seiichi Hayashi, opera seminale su cui torneremo prossimamente. L’edizione è di grande formato, su carta di qualità, con l’unico appunto di qualche refuso di troppo che speriamo sia di preludio a una futura maggiore attenzione in fase redazionale. La collana è diretta da Igort e curata da Vincenzo Filosa, grande cultore del gekiga, cui ha dedicato ampio spazio nella sua opera a fumetti Viaggio a Tokyo, uscito per Canicola Edizioni. Filosa si occupa anche delle traduzioni. Con lui abbiamo discusso del progetto:

Puoi spiegarci la differenza tra manga e gekiga?

Gekiga, letteralmente “immagini drammatiche”, è il termine coniato da Yoshihiro Tatsumi nel 1957 per definire un nuovo modo di intendere la narrazione a fumetti in Giappone. Fino ad allora, il manga era
considerato poco più di una banale forma d’intrattenimento, privo di qualsiasi qualità artistica o letteraria, rivolta a un pubblico esclusivamente composto da ragazzi d’età compresa tra i 5 e i 13 anni. Insieme al pioniere Masahiko Matsumoto e al collega Saito Takao, Tatsumi decise di produrre storie indirizzate a un pubblico maturo, ispirate al cinema noir e poliziesco di produzione francese e americana. I generi prediletti da quegli autori erano il thriller e la crime fiction, le ambientazioni e i personaggi erano ispirati alla cronaca di tutti i giorni; l’ironia venne messa al bando. Da un punto di vista tecnico, questi autori ripresero alcuni elementi del primo Tezuka, in particolare l’attenzione per la sequenza e l’ossessione per i dettagli nei movimenti dei personaggi che si muovono al suo interno. miavitainbarcatsudaOgni vignetta era concepita come il singolo frame di una pellicola. l’utilizzo di inquadrature “poco convenzionali” era frequente, così come il ricorso a effetti sonori esagerati, onomatopee ingombranti e linee cinetiche. Il gekiga nei suoi primi anni di vita riscosse un successo tale da spingere editori e autori a introdurre le sue invenzioni anche nelle storie più convenzionali. Successivamente, con la nascita degli studi professionali il gekiga raggiunse definitivamente le masse in una forma più accessibile, meno radicale, fino a trasformarsi in sinonimo di manga d’azione: Takao Saito e il suo Golgo 13 sono forse uno degli esempi più lampanti di questa trasformazione; Matsumoto Masahiko invece si dedicò al manga a tema sportivo, introducendo le tecniche tipiche del gekiga nel genere. Tatsumi, paradossalmente, fu l’autore che più si allontanò dai canoni stilistici da lui stesso definiti: privò di ogni ambizione “action” le sue storie, le immerse nella realtà dei ceti meno abbienti e delle classi più disagiate alle prese con le ineguaglianze e le ipocrisie del Giappone del boom economico. Con le storie prodotte a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 contribuì in maniera fondamentale alla nascita del vero fumetto alternativo giapponese, ispirando autori del calibro di Tadao e Yoshiharu Tsuge, Seiichi Hayashi e tanti altri.

In Italia il sottogenere gekiga è pressoché sconosciuto: in Giappone invece gode di più larga diffusione o è rimasto appannaggio di una nicchia di cultori?

Il gekiga, per come è stato concepito, è ancora un genere “di nicchia”, ma soprattutto, come spiegato prima, non esiste più, negli anni si è trasformato fino a perdersi nel flusso produttivo di riviste per adolescenti e adulti, oppure ha ispirato le rivoluzioni alternative degli anni ’70 e ’80. Golgo 13, serie di successo mondiale, può essere considerata per certi versi come un’opera gekiga, così come Lupo solitario e il suo cucciolo, celebre anche in Italia; Le sperimentazioni di Yoshiharu Tsuge negli anni ’70 o le derive avanguardistiche dei primi anni ’80, con le produzioni heta-uma in particolare, sono figlie del “nuovo” gekiga prodotto da Tatsumi tra il 1968 e il 1972.

Come nasce l’idea di questa collana?

I semi della collana sono stati piantati da Igort sin dai primi anni di vita di Coconino Press, con la pubblicazione della raccolta di racconti Lampi di Yoshihiro Tatsumi nel 2004, con la proposta di autori del calibro di Kazuichi Hanawa e Suehiro Maruo… Quei titoli sono stati una salvezza per me, li ho scoperti in un periodo in cui pensavo che semplicemente i manga avessero smesso di crescere con me. Sentivo il bisogno di leggere qualcosa che fosse più vicino alle mie esperienze di venticinquenne. A me piace pensare che Coconino Gekiga offrirà ai giovani lettori cresciuti con i manga, ma desiderosi di nuove “esperienze”, delle opere che li accompagnino oltre l’adolescenza fino all’età matura. Allo stesso tempo, vorrei anche che la collana rappresentasse un punto di partenza per chi ancora non conosce i manga grazie a titoli dalla forte identità ma contemporaneamente vicini alle esigenze dei lettori occidentali.

L’importanza di Tadao Tsuge è ancora poco nota al pubblico italiano: puoi parlarci un po’ di lui?

La mia vita in barca è un opera in due volumi, un diario di viaggio, di ispirazione autobiografica. È sicuramente il progetto più ambizioso di Tsuge Tadao, forse l’autore meno noto dell’underground giapponese, di certo il meno appariscente. Tsuge Tadao è il fratello del celebre Yoshiharu, stella del manga alternativo giapponese. Tadao ha iniziato proprio come suo assistente agli sfondi per una serie di samurai. La mia vita in barca differisce radicalmente dalle opere d’esordio, sia da un punto di vista tematico che stilistico.

Nel tuo Viaggio a Tokyo racconti la tua “scoperta” di Tsuge e di quanto Una vita in barca rifletta la sua vita reale: da autore quali sono gli aspetti della sua opera che ammiri di più?

viaggioatokiofilosaNei racconti degli anni ’70 e ’80 crea una sorta di neorealismo manga completamente originale e di una qualità ancora oggi ineguagliata in tutta la produzione a fumetti mondiale. Ne La mia vita in barca, rappresenta la realtà senza fare uso di filtri estetizzanti di alcun tipo, e nonostante tutto riesce sempre a rendere con equilibrio il mondo caotico che lo/ci circonda nella sua interezza. È capace di comunicarmi le qualità negative di un oggetto o di una persona senza mai ricorrere alla caricatura esagerata, ma rappresentandola attraverso le interazioni della vita di tutti i giorni. Improvvisa interi romanzi riuscendo a creare strutture immense. Cosa ammiro di Tsuge Tadao? Ogni cosa.

Come ti sei approcciato al lavoro di traduzione e adattamento? Lo stile letterario di Tsuge e Seiichi Hayashi ha presentato particolari difficoltà?

Due stili completamente diversi, rendere i dialoghi de La mia vita in barca è una questione piuttosto delicata, gli scambi sono immediati ma mai veramente volgari, hanno un ritmo molto particolare. Elegia in rosso ha uno stile più asciutto che lascia spazio a interpretazioni “emotive”… nel complesso comunque due lavori assolutamente piacevoli.

Puoi anticiparci qualche altro titolo della collana?

Abbiamo in cantiere due raccolte di storie di Tatsumi: la prima raccoglie i racconti già pubblicati in Lampi nel 2004. Il titolo è fuori catalogo e Coconino ha pensato di riportarlo in libreria. Il titolo però sarà diverso: la storia intitolata “Lampi” verrà infatti pubblicata nel secondo volume. I racconti hanno una nuova traduzione e questa volta manterranno le onomatopee originali, che nell’edizione del 2004 erano state adattate. La seconda raccolta, Le lacrime della bestia, uscirà nel 2017; sempre nel 2017 usciranno il secondo volume de La mia vita in barca e almeno altri due titoli che però per il momento non possiamo ancora annunciare.

Sul piano personale, quali sono i tuoi progetti per il futuro, al di là della collana Coconino?

Come autore: è disponibile da qualche settimana un numero della rivista Kus interamente dedicato al Giappone con una mia storia di 20 pagine; a ottobre uscirà invece La rabbia, antologia edita da Einaudi che oltre a raccogliere storie di super pesi massimi come Zerocalcare, Ratigher e Hurricane Ivan ospita anche un racconto che ho disegnato su testi di Giusy Noce. Il mio prossimo libro dovrebbe uscire invece nella primavera del prossimo anno, incrociamo le dita!

Come traduttore: spero di poter continuare a lavorare a questa collana fino alla fine dei miei giorni!

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