Mariner of the Mountains, di Karim Aïnouz

Aïnouz va alla ricerca delle proprie origini innervando il reportage di viaggio di suggestioni oniriche e presenze fantasmatiche. Premio Espressione artistica per la miglior regia al Medfilm Fest

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Già in apertura Mariner of the Mountains stabilisce quello che sarà il mood del documentario, attraverso una definizione rosso sangue di calentura, quel delirio febbrile che colpiva i marinai durante le sfiancanti traversate oceaniche verso latitudini equatoriali. Qui inizia poi una vertiginosa sequela di inquadrature casuali del viaggio di Aïnouz in Algeria, sulle tracce delle origini paterne, alternate a foto tratte dall’archivio di famiglia e immagini d’epoca della guerra d’indipendenza algerina.
Facciamo un passo indietro. Nel gennaio del 2019, dopo la morte della madre, Karim Aïnouz parte alla volta dell’Algeria, terra natìa del padre. Quello che inizialmente potrebbe apparire come il videodiario di questo viaggio alla scoperta delle proprie origini, si mostra invece come una riflessione esistenziale sulle possibili traiettorie che la vita può intraprendere, su ciò che avrebbe potuto essere. Aïnouz si pone e ci pone davanti alla prospettiva di una vita alternativa, fatta di luoghi, persone, lingua e storia differenti, che per il regista si materializzano sullo schermo nelle vesti di un suo omonimo algerino con cui condivide anche l’anno di nascita. A dare unità alle digressioni vorticose del documentario, in costante oscillazione tra riflessione intima e analisi storiografica, è la voice over dello stesso Aïnouz che recita una lettera alla madre Iracema, compagna fantasmatica in questo viaggio esplorativo. Si apprende così che i genitori si sono separati prima della sua nascita e il regista è cresciuto solo con la madre a Fortaleza, in Brasile, mentre il padre è tornato in Algeria per combattere la guerra d’indipendenza. Aïnouz quel padre l’ha incontrato per la prima volta solo a 18 anni, senza riscontrare in lui particolare interesse e senza riuscire a stabilire alcun legame profondo.

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Lo sguardo del regista si concentra sulla vitalità e la bellezza dei luoghi di una terra sconosciuta, seguendo il flusso vibrante della calorosa umanità da cui viene accolto. Il vorticoso turbinio d’immagini e filmati che mischiano presente e passato sono materializzazione visiva di uno spiazzamento interiore. Filtri rossi e verdi, immagini sgranate e luce frammentata alterano la sensazione dell’inquadratura, traslando il realismo del documentario in una dimensione onirica, quasi a voler portare in superficie un subconscio fino ad ora inesplorato.
Mariner of the mountains è una miscellanea di generi che si muovono tra saggio antropologico, ricerca genealogica e diario di viaggio, esaltandone l’aspetto più sentimentale e commovente attraverso la lettera per immagini dedicata alla madre.
L’aspetto documentaristico del reportage si innerva di fantasie, astrazioni, congetture, suggestioni e desideri viscerali, espressioni di un bisogno di senso e di ricomposizione di quell’unità personale e familiare che passa attraverso un tracciato geografico e storico.

Tornano i temi dell’esilio, della contrapposizione esistenziale incarnata dal doppio, delle presenze effimere già trattati nel precedente e bellissimo L’invisibile vita di Eurídice Gusmão, attraversati entrambi dalla sottile quanto incontrovertibile certezza che dietro ad ogni messa in discussione e ricerca identitaria, dietro ad ogni desiderio e moto interiore, si nasconde di fatto la tragedia dell’assenza.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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