MASTER & COMMANDER – SFIDA AI CONFINI DEL MARE di Mauro Di Muoio

 

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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… e se Bin Laden si nascondesse in mezzo all`oceano?    


        


Tratto da uno o piu' romanzi di Patrick O' Brien, il film di Peter Weir racconta della coppa America nel tempo in cui ancora non esisteva.


Scenario di un improbabile match-race moderno, sono le latitudini "ruggenti" delle acque meridionali del pianeta, nell`anno del Signore 1805.


Assistiamo stupefatti a misteriose boline, a partenze mozzafiato in cui i francesi per due volte passano in vantaggio sopravvento, prendendo la nostra poppa. Ci sentiamo compiaciuti nell`aver scoperto le linee d`acqua dell`avversario, nell`averlo sfidato sul piano dell`orgoglio, nonostante le difficolta'.


Perdiamo un uomo in mare, ma riusciamo comunque ad ottenere il meglio dalla nostra barca, il "Surprise". La sfortuna ci perseguita, ma sappiamo come liberarcene, alla fine vinceremo.


Il nostro skipper, "lucky" Jack Aubrey o Russel Crowe o Russel Coutts, non si fermera' davanti a nulla, non cedera' alle meraviglie delle colonne d`ercole.


Che ti piaccia o no, tu sei, esattamente come noi, sulla stessa barca. Ed e' li' che stiamo andando.


L`ignoto e' il punto di vista di Weir, esso non genera panico, pur non rivelandosi l`orizzonte e' sempre visibile.


Con fare solo in parte "manzoniano", il regista australiano saccheggia insieme a John Collee e Larry Ferguson la letteratura di un solo autore per creare un testo ambientato nel passato, che funzioni da metafora per il tempo presente. Ma soprattutto per farci vivere, con la consapevolezza dell`approssimazione, una realta' vista solo da un lato.


Onore e onere del film, il punto di vista, coerente ma incompleto, viene messo in discussione nell`atto stesso della sua celebrazione. Esso genera differenza e diffidenza la' dove sono visibili solidarieta' e fiducia.


Lo sguardo supera l`immagine di se stesso, ma esita a rompere lo specchio.


E' un lavoro che Weir necessariamente compie solo a meta'. Egli e' costretto a sacrificare la liberta' dello sguardo verso l`ingnoto di Picnic ad Hanging Rock, per un`attribuzione di senso esterna al testo.


Nonostante la discrezione visiva degli effetti speciali, l`accuratezza dei caratteri, dei suoni e delle forme, il film si regge su un`allusione a qualcosa d`altro, non puo' prescindere da essa.


L`oggetto non e' il mare, non l`avventura in se stessa, ma qualcosa che fa apparire tutto cio' come improbabile sfondo.


La frattura fra liquidita' e cristallizzazione del visibile, del sensibile, genera distacco, distanza, ancora una volta differenza.


Non viene il mal di mare, quel senso di nausea empatica che si prova in altri film marinareschi e soprattutto nella buona letteratura di genere. Non esiste nessuna balena bianca da inseguire, nessun tesoro da scoprire e, quando sembra che tutto cio' possa esistere, il comandante "gladiatore" anglo-americano tira avanti per la sua strada, e noi con lui.


 


         Mauro Di Muoio


 

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