Mathera, di Francesco Invernizzi
Capitale Europea della Cultura 2019, il centro lucano è omaggiato dal documentario di Francesco Invernizzi. Un atto d’amore autentico e coinvolgente, in sala fino al 23 gennaio
“Matera è un messaggio per tutto il Mediterraneo, per tutti i paesi del mondo, per tutti i villaggi, per tutte le comunità disperse, per il recupero di tutti i luoghi abbandonati, ed è un messaggio per l’Europa intera, perché l’Europa non può lasciare indietro gli ultimi e perché l’Europa è fatta di piccoli centri. Matera parla all’Europa interna, all’Europa marginale, ma a quell’Europa interiore che è dentro di noi, all’Europa che siamo noi tutti. Matera è un insegnamento straordinario per l’umanità: ritornare alle nostre tradizioni, alle nostre radici”.
Queste parole di Pietro Laureano, architetto, urbanista e consulente UNESCO, colui al quale si deve la promozione di Matera e dei Sassi a Patrimonio Mondiale dell’Umanità (assemblea di Cartagena de Indias del 9 dicembre 1993) grazie soprattutto ai suoi studi e alle sue relazioni sul sistema di raccolta e distribuzione delle acque piovane, sintetizzano e restituiscono perfettamente il senso di Mathera, il documentario realizzato da Francesco Invernizzi. Proclamata il 17 ottobre 2014 Capitale Europea della Cultura 2019, insieme alla bulgara Plovdiv, Matera è, infatti, un prodigioso esempio di equilibrio tra storia, tradizione e innovazione, un modello paradigmatico di salvaguardia delle radici e di sviluppo sostenibile, la dimostrazione vivente delle potenzialità culturali, turistiche e sociali e delle infinite risorse di un luogo solo in apparenza marginale e “disgraziato”, volano e riferimento ormai imprescindibile per tante comunità e villaggi sparsi in giro per l’Italia e per l’Europa. Il lavoro, nato da un soggetto di Invernizzi con la direzione artistica della Magnitudo, diretto da questi con la collaborazione di Vito Salinaro e sceneggiato a sei mani da Elena Baucke, Stefano Paolo Giussani e lo stesso Salinaro, non intende affatto offrire una cartolina oleografica della città in vista dell’importante riconoscimento europeo conferitole per il 2019, né si riduce ad una sorta di guida cinematografica delle sue bellezze, dei suoi itinerari artistici e paesaggistici, delle sue tradizioni gastronomiche. Lo scopo di Invernizzi è quello di omaggiarne la storia sfrondandola dalle citazioni trite e dai riferimenti più noti al grande pubblico: basti pensare che non si fa minimamente cenno a Matera come set cinematografico per eccellenza, non soltanto delle celebri pellicole di Pasolini (Il Vangelo Secondo Matteo, 1964), di Gibson (La Passione di Cristo, 2004), di Lattuada (La Lupa, 1953) o come fonte di ispirazione di tanta letteratura, né si calca troppo la mano sulla storia affascinante dei Sassi, sulle loro peculiarità morfologiche o sulla ricca tradizione gastronomica del luogo. Soltanto Carlo Levi è imprescindibile ed alcuni estratti dedicati alla città da Cristo si è fermato a Eboli (“A me pareva in quel sole accecante di essere capitato in una città colpita dalla peste […]. Le porte erano aperte per il caldo, io guardavo passando l’interno delle grotte che non prendono altra luce né aria se non dalla porta stessa. Alcune non hanno neppure quella. Le donne che mi vedevano guardare per le porte mi invitavano ad entrare: magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi, mi salutavano gentili e sconsolate”) sono recitati nel corso del documentario – struggente e suggestiva, poi, la declamazione teatrale nell’epilogo ad opera degli attori Antonio Montemurro e Patrizia Minardi a descrivere lo stupore e lo sconcerto della scoperta di una Matera che si è cercato di nascondere per disprezzo della povertà – e ciò avviene perché è la Storia ad occupare il cuore del progetto: una storia “esemplare” di degrado e di miseria – il passato, anche recente – che è diventata negli anni stimolo ed occasione di riscatto sociale e culturale – il presente – fino addirittura a farsi strumento di sviluppo e di continua tensione alla crescita, al progresso, all’interazione tra linguaggi, espressioni, modalità e forme diverse di cultura e di sostenibilità – il futuro. Una storia, soprattutto, che ha radici antichissime, vecchia quasi quanto il mondo e con la quale, proprio per questo, tutti siamo portati a confrontarci, a sentirne il “respiro” e il “peso”, la coltre di polvere e di roccia, la magia ancestrale.
Inserendosi nella scia del più puro filone documentaristico, quello delle city symphonies legato a nomi come, ad esempio, Jean Vigo (À propos de Nice, 1930) e Walter Ruttmann (Berlin – Die Sinfonie der Großstadt, 1927), Mathera è soprattutto una raccolta di testimonianze e di immagini fondata sullo stretto connubio, raramente così efficace in un documentario, tra parola che dipinge e fotografia che racconta, in un tourbillon inestricabile di riferimenti visivi e di appunti vocali, il tutto contrappuntato dalle morbide scelte musicali di Diego Ronzio, sospese tra melodie tribale, suggestioni mistiche e atmosfere oniriche che rasentano la psichedelia. Una musica orientaleggiante, a tratti di ascendenza quasi bizantina, che accompagna senza mai prendere il sopravvento, e che si sposa alla perfezione con la fotografia pulitissima e dinamica di Massimiliano Gatti, capace di accendere i colori della festa e di esaltare quelli della roccia, di indugiare sulle nuance di un affresco lasciandone intuire lo splendore cromatico e di cristallizzare i riverberi della luce naturale sul tufo e sulla pietra di una città che qui è scavata da millenni. Gli intervistati si muovono liberamente nel corso della narrazione, sono presenze fluide che vivono sulla scena senza alcuna forzatura, importanti quanto le parole che pronunciano e le immagini che evocano: traspare tutta la loro energia e il loro entusiasmo nell’avere fatto parte di un progetto che li ha evidentemente stuzzicati e coinvolti profondamente a livello emotivo. Ottimo anche il lavoro condotto sul sonoro nel perfetto bilanciamento tra voce narrante, rumori di scena, suoni naturali, a restituire un mosaico ricco e prezioso di sfumature concrete e, insieme, simboliche, e i visual effects che, con l’eccezionale qualità, la profondità e l’altissima definizione dell’8k giocano tra realtà e pittura, tra storia e visione, trasfigurando e pennellando sullo schermo, alla maniera di un Guttuso, le fotografie d’epoca e le immagini di repertorio che a tratti scorrono sullo schermo. Quello compiuto da Invernizzi è uno sforzo di riflessione mai fine a se stesso su come sia possibile far confluire gli opposti e gli ossimori della vita, levigare le asperità e le superfici scabrose della realtà e condurle verso soluzioni condivise e sostenibili, soprattutto possibili; è un’indagine corale sui tempi della Storia, nell’accorta consapevolezza di un fil rouge inscindibile tra passato, presente e futuro. Di tutto questo Matera è simbolo, potremmo dire icona.
Regia: Francesco Invernizzi
Origine: Italia, 2018
Distribuzione: Magnitudo Film/Chili
Durata: 90’
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