Matteo Garrone, a cura di Christian Uva

Il libro a cura di Christian Uva fornisce un’ottima mappa interpretativa sul cinema di Garrone arricchendo l’approccio estetico-autoriale con l’analisi di molti discorsi culturali originati dai film

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“Ebbene, è proprio in una indecidibile terra di mezzo che trova il proprio orizzonte d’elezione tutto il cinema dell’autore romano. […] Terra di mezzo estetica tra vero e falso, realismo e artificio, bellezza e bruttezza; terra di mezzo etica tra virtù e abiezione, moralità e immoralità, decenza e indecenza; terra di mezzo esistenziale tra giovinezza e vecchiaia, età infantile e condizione adulta, vita e morte”.

Matteo Garrone è uno dei cineasti centrali per ogni discorso sul cinema italiano contemporaneo. Da un lato erede di quel discusso canone “neo-neorealista” che si esprime ancora nell’amalgama tra attori professioni e non (pensiamo ai suoi film d’esordio o allo stesso Gomorra); dall’altro erede di quel super-spettacolo d’autore capace ancora oggi di far dialogare cinema popolare e world cinema festivaliero (dal Racconto dei racconti allo stesso Pinocchio). Ecco allora, analizzare dettagliatamente la filmografia di Garrone rilancia di per sé una serie di discorsi storici, culturali e stilistici sul cinema italiano ancor prima di isolare le tracce di una singola poetica autoriale.

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Il libro a cura di Christian Uva, intitolato semplicemente Matteo Garrone – come da tradizione per la collana “Elementi Sequenze d’autore” edita da Marsilio –, riesce perfettamente a tenere insieme tutte queste linee d’indagine facendole dialogare in maniera più che feconda. La struttura del libro è agile e intuiva permettendo un’immersione nei “caratteri distintivi del suo immaginario, della sua poetica e del suo stile”, isolando temi e figure ricorrenti che operano come elementi sincretici: gli archetipi della fiaba dialogano con i fatti di cronaca; l’approccio semi-documentaristico dialoga con le suggestioni pittoriche o con l’astrazione di singoli gesti; la referenza narrativa a luoghi e tempi precisi dialoga con una concezione quasi metafisica degli spazi colta in inscrizioni puramente immaginarie. Infine, la costruzione dei personaggi posti sempre al confine tra civilizzazione e terra selvaggia, umanità e animalità, candore e violenza, rendendo visibili queste polarità identitarie nella consapevole dialettica tra grottesco e verosimile (pensiamo a L’imbalsamatore o Reality).

Pertanto: la lunga ed esauriente introduzione di Uva riesce ad aprire un ventaglio di discorsi potenziai che investono molti punti nodali della storia del cinema italiano. Le due anime apparentemente distinte della filmografia di Garrone – quella più legata all’approccio minimalista e quella più delegata agli archetipi rivisitati del mondo delle fiabe – vengono qui analizzate come coalescenti e non scindibili. È il tema identitario, infatti, il vero filo rosso che tiene insieme ogni dimensione, ambientazione o situazione in cui tutti i personaggi garroniani interagiscono e (non) evolvono.

Il libro procede poi con analisi di singoli film che creano continui link interni ed esterni al contesto culturale e cinematografico di riferimento. Si parte da Ospiti e dalla tendenza ad osservare ogni dato reale privo di filtri, “inaugurando uno sguardo che a distanza di anni rimane sostanzialmente immutato” (Ivelise Perniola); passando per la prima vera svolta nella carriera di Garrone segnata da L’imbalsamatore, ossia un “noir alla rovescia” che “problematizza l’esperienza dello spettatore” (Enrico Carocci). E poi ancora la cronaca nera rivisitata di Primo Amore nel tentativo di filmare l’ambiguo rapporto tra la “materialità, anche economica, e la ricerca della purezza formale” (Nicoletta Marini-Maio).

Una seconda, decisiva, svolta per la carriera di Garrone è chiaramente segnata dall’adattamento del romanzo Gomorra nel 2008. Il saggio di Dana Renga analizza lo sguardo antropologico della non-fiction di Saviano calato nel pedinamento dei corpi in medias res tra riti e consuetudini criminali, soffermandosi in particolare sulla figura di Maria e sulla condizione femminile in quel particolare universo. Una riflessione che slitta infine verso la sociologia dell’immaginario nel dialogo con il gangster movie hollywoodiano visto come serbatoio di stereotipi per quei personaggi.

E poi: Reality (prima coproduzione internazionale del regista) diventa nel saggio di Damiano Garofalo l’occasione per riflettere sulla dialettica tra cinema e televisione dal punto di vista stilistico e narratologico, nonché sulle derive dello “spettacolo del reale” sondate dalla peculiare mediazione estetica di Garrone. Una densità metaforica che si radicalizza nel basiliano Il racconto dei Racconti analizzato da Rosamaria Salvatore come configurazione di fantasmi del desiderio che ruotano intorno alla ossessiva ”impossibilità a generare”; oppure in Dogman analizzato da Vito Zagarrio come film decisivo per interpretare questa ossimorica tendenza a “mettere in quadro” la realtà. Infine Luca Mazzei analizza Pinocchio come film perfettamente inserito nella filmografia garroniana e nel contempo capace di aprirsi al confronto con l’immenso portato culturale transnazionale che deriva dal romanzo di Carlo Collodi.

Insomma, il libro illumina un universo di segni strutturato e complesso consegnandoci una mappa interpretativa che non si limita all’approccio estetico/autoriale ma riesce sempre a coinvolgere una moltitudine di discorsi culturali originati dai film. Un libro che ci invita a partecipare come parte attiva in un processo interpretativo in divenire che riesce a sollecitare riflessioni sul cinema (di Garrone) ben oltre il tempo di lettura.

Matteo Garrone, a cura di Christian Uva
pp. 190
Marsilio, Elementi / SEQUENZE D’AUTORE
12.50 euro

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