Maurice. Un topolino al museo, di Vasiliy Rovenskiy

Più riuscito nelle intenzioni che nella realizzazione, un film che ha spesso il fiato corto e rinuncia ad un’affascinante legame con la slapstick. Ma così andare oltre il proprio target è difficile

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Per un momento sembra tutto chiaro. Per un attimo, sembra che la chiave di volta su cui potrà reggersi Maurice. Un topolino al museo sia stata trovata dopo appena una manciata di secondi. Il gatto Vincent, un giorno cade dalla nave su cui stava viaggiando ma riesce a salvarsi e trova rifugio in una casa abbandonata. Lì conoscerà Maurice, un topolino con cui farà amicizia e che gli offrirà rifugio durante un’improvvisa catastrofe che distruggerà la loro casa. Di nuovo alla deriva in mare, i due vengono recuperati e portati all’Hermitage. Da lì la vita di Vincent cambierà in modo radicale. Conoscerà un gruppo di gatti d’elite incaricati di tenere lontani i topi dalle tele dei quadri (ne sono infatti ghiotti). La faccenda tuttavia si complicherà quando Vincent dovrà dare la caccia all’amico Maurice, deciso a nutrirsi addirittura della Gioconda.  Ma siamo già andati troppo oltre. Prima di tutto questo c’è altro: c’è una gag che, da sola, avrebbe potuto assommare in sé tutto il film. Nella casa in cui si rifugia Vincent c’è infatti anche un feroce cane che cerca di morderlo in ogni occasione. Vincent però è furbo, appena il cane prende la rincorsa si posiziona davanti ad una finestra aperta, così da evitarlo e farlo cadere sulla spiaggia, lontano da lui. Ogni volta.

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Vero, come tutto Maurice. Un topolino al museo, anche questa sequenza è grezza, animata con poca grazia e cura del dettaglio, eppure sembra raccontare un interessante modo di annunciare l’immaginario di riferimento del film, che è poi quello, notissimo, tutto linee, dinamismo, velocità, di Tom and Jerry e degli altri cartoon di Hanna e Barbera.

Ma è un abbaglio. Rovenskiy non sembra intuire il potenziale linguistico che gli si para davanti e anzi, paradossalmente, sembra avere più difficoltà proprio a gestire quel tipo di linguaggio, quel dialogo con la slapstick.

Maurice

Di base, Maurice. Un topolino al museo, sembra essere un film ben più interessante nelle intenzioni che nel risultato, capace di parlare di temi non scontati, tra gatti in crisi d’identità (a tal punto da venire “battezzati” dai topi), che si rendono conto del loro ruolo e destino solo tra simili ed una cultura che per essere assorbita deve essere per forza “mangiata”, ma mai davvero in grado di assecondare le linee del racconto, spesso in controtempo, indeciso sull’approccio da adottare, sul modo in cui gestire il focus. Lo svela probabilmente già bene proprio la gag del cane. Il sistema ne percepisce la carica comica e allora non può che riproporla più volte quasi sempre identica a sé stessa, rischiando tuttavia di svuotarla di senso.

Ma a raccontare meglio lo smarrimento del film c’è, ovvio, lo strano dietrofront del film, che mette da parte quasi subito il respiro da slapstick per privilegiare il registro della commedia degli equivoci, per lasciare in primo piano dialoghi, che vorrebbero essere vivacissimi, tutti in levare, ma che alla lunga non riescono mai a trovare l’occasione per puntare all’affondo. Ma forse il film abbandona presto le soluzioni più dinamiche, indiavolate, anche perché si rende conto di non riuscire ad avere la potenza di fuoco necessaria per svilupparne davvero le linee fondanti. Quando ci prova, ad esempio nelle due o tre fughe in cui esonda il racconto, i movimenti di macchina perdono vivacità, lo sguardo di Rovenskijy finisce quasi per bloccarsi sul personaggio, che al contempo non può che disperdersi in spazi inerti, artefatti, in magazzini semivuoti o nelle strade di una Mosca praticamente priva di vita.

Per certi versi, è un po’ come se Maurice. Un topolino al museo, percepisse la sua generale irrisolutezza e allora affastella elementi narrativi, crea intere linee di storyline che faticano a dialogare con il resto (a partire, forse, dall’improvvisa derivaq da ghost story), risolve in una manciata di passaggi sequenze che, se meglio gestite, avrebbero potuto costituire davvero il nucleo narrativo del film. Così il centro del discorso finisce inevaso e Maurice. Un topolino al museo, forse, non può far altro che ammettere di condividere i problemi d’identità del suo protagonista.

Titolo originale: Koty Ermitazha
Regia: Vasiliy Rovenskiy

 

Voci: Edoardo Stoppacciaro, Gabriele Patriarca, Saverio Indrio, Lavinia Paladino, Simone Mori

 

Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 83′
Origine: Russia, Ungheria, 2023

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
2 (6 voti)
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