Metropolis, di Rintarō
Un sovrapporsi continuo di suoni e immagini, mai così esplicitamente rètro. Un grande omaggio al XIX secolo ai suoi orrori, alle sue paure, Al cinema da oggi a mercoledì 15.
Lascia tracce evidenti dietro di se questo sofisticato e sinfonico cartone animato giapponese, dove fatichiamo a individuare (se mai ce ne fosse bisogno…) l’autorialità, sommersa tra la forza del racconto originario di Osamu Tezuka, la metafisica esistenzialista dello script di Katsuhiro Ōtomo e la visionarietà post moderna di Rintarō. E le tracce riconducono tutte, nonostante le apparenze di favola fantascientifica, al passato.
Sì perché Metropolis di sta al XX secolo proprio come il film di Lang stava al XIX. Laddove Lang era ispirato fortemente dalla letteratura fantastica dell’Ottocento, questo moderno capolavoro dell’arte giapponese ha le sue basi e la sua idea narrativa tutta strutturata all’interno del Novecento. Anzi del Novecento Metropolis sembra ricostruire una sorta di storia visionaria, quasi un sommario di come gli umani si sono rappresentati e immaginati nel “secolo del cinema”, con le sue forze e i suoi inevitabili limiti. Come quello di tentare in tutti i modi di rappresentare cinematograficamente l’idea, appunto tutta novecentesca (Manhattan, ispirata alle leggendarie Babilonie e Atlantide), della “città verticale”.
È proprio la ricerca di un punto di vista che provi a raccontare la verticalità di sguardo della città novecentesca il punto limite e magnificamente umano di Metropolis, umano nel senso di un qualcosa che tenta l’impossibile, ossia sfidare le leggi della fisica. Perché il cinema è orizzontale, e lo sguardo cinematografico di Metropolis gioca sulla panoramicità dell’immagine, ma innesca all’interno di essa un punto di rottura attraverso un punto di vista “verticale”, che spinge in alto e in basso lo sguardo in continuazione, un po’ come quel magnifico videoclip dell’ultima canzone di Peter Gabriel dove un uomo si lancia da un grattacielo e vola giù giù giu, fin sotto terra, fino all’altra parte del mondo, oltre lo spazio…
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Metropolis è un omaggio al secolo che abbiamo lasciato alle nostre spalle da poco, ai suoi orrori, alle sue paure, ma anche alle sue speranze, alle illusioni. Un secolo di dittature, di democrazie, di conflitti, di orrori e di grandi invenzioni per tutta l’umanità. Ma anche un secolo definitivo, nella sua duplice capacità di affermare l’automobile di massa e l’atomica come armi potenziali e reali di autodistruzione del pianeta. Non è certo un caso che, pur ispirandosi al celebre manifesto del film di Lang, Osamu Tezuka scrisse il suo fumetto proprio nel 1949, che è l’anno in cui iniziò la vera “fine del mondo”, ovvero quello dell’atomica sovietica, che iniziò la guerra fredda e l’equilibrio del terrore nucleare. Perché è lì, forse, che nasce davvero il ‘900, secolo doppio, talmente concentrato di storie e materie da valerne almeno due.
Ed ecco allora che il Metropolis di Rintarō, nel raccontarci la nascita di una “superdonna” androide assolutamente inconsapevole della propria natura (un po’ come la replicante di Blade Runner), riprende le orchestrine jazz degli anni venti, rimescola melodie americane con un classico della “cultura manga” (il fumetto di Osamu Tezuka), fino a quell’esplosione liberatoria, quasi una “palingenesi necessaria”, descritta attraverso quel magnifico canto rappresentato da I Can’t Stop Loving You di Ray Charles. Come un sovrapporsi continuo di suoni e immagini, rotte da lunghi attimi di silenzio dove il nostro sguardo si perde nei vicoli della città del futuro (mai così esplicitamente “rétro” come in questo film) con una dichiarazione così altamente teorica che lascia a bocca aperta, ovvero: nel nuovo millennio la fantascienza (come l’angelo di Klee, che volava in avanti con il volto rivolto all’indietro) guarderà al passato: il futuro è già avvenuto!
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Titolo originale: id.
Regia: Rintarō
Distribuzione: Nexo Studios
Durata: 108′
Origine: Giappone, 2001





















