Mia madre ride, l’autobiografia di Chantal Akerman

La regista di Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles, incoronato da Sight & Sound miglior film di tutti i tempi, si racconta in questo volume edito da La Nave di Teseo

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La casa editrice la Nave di Teseo ha pubblicato recentemente “Mia madre ride“, un’autobiografia che ha la forma poco canonica di diario-memoir a episodi, scritto mentre l’autrice Chantal Akerman viaggiava tra New York e Bruxelles per assistere la madre anziana negli ultimi anni prima della scomparsa. Nel libro l’autrice si lascia esplorare nel triplice ruolo di figlia, artista e donna, tre vesti che non le hanno impedito di dedicare alla letteratura uno sguardo favorito. Il libro racconta alcuni aspetti inediti della sua vita privata come: l’amore per le donne (e in particolare per una più giovane), le sue frequenti depressioni e i blocchi creativi., il difficile rapporto con la madre già esplorato dai suoi lavori cinematografici più importanti. L’intento di questa autobiografia è esplicato dalle stessa parole di una delle interpreti più importanti del cinema sperimentale degli ultimi cinquant’anni, recentemente incoronata da Sight & Sound regista del più bel film della storia del cinema: “Con orgoglio. Perché finalmente credevo nella mia capacità di dire qualcosa che prima ho avuto difficoltà a dire. Mi sono detta, sono forte per una volta, parlo. Io dico la verità”.
Questo bisogno di affermare la verità è sempre stato il filo cardine di una filmografia e di un’attività artistica che anche quando ha interessato altri ambiti ha sempre mantenuto una formidabile coerenza. Figlia di emigranti ebrei, Chantal Akerman nasce a Bruxelles nel 1950. L’illuminazione per diventare regista le sopraggiunge grazie a Jean-Luc Godard, in particolare dopo la visione de Il bandito delle ore undici del 1965. Inizia la sua carriera nel mondo del cinema sin da giovanissima, così grazie al suo primo lungometraggio Saute ma ville del 1968 riceve l’attenzione critica del regista belga André Delvaux. A soli 21 anni si trasferisce per 3 anni a New York dove conosce le opere di Stan Brakhage, Jonas Mekas e Michael Snow. Nella metropoli statunitense ebbe la possibilità di lavorare a due cortometraggi che lei stessa ritiene le sue opere meno riuscite. Quando ritorna a Parigi gira il suo primo lungometraggio Je, tu, il, elle (distribuito poi nel 1976) storia di una giovane donna che lascia il suo auto-isolamento per compiere un viaggio on the road che la porta a vivere storie d’amore solitarie con un camionista e una ex fidanzata. Con il suo famoso incontro carnale in tempo reale e il suo audace minimalismo, Je, tu, il, elle è la sua pellicola più sessualmente audace, tanto da diventare fonte di ispirazione per Gus Van Sant e Todd Haynes. Nel 1975 realizza il suo film più famoso Jeanne Dielman. La pellicola partecipò alla 28ª edizione del Festival di Cannes nella sezione parallela Quinzaine des Réalisateurs. Significativo anche il rapporto che ebbe con l’Italia: a 58 anni fu infatti presidentessa della giuria della sezione “Orizzonti” della 65ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. I suoi ultimi film sono stati La folie Almayer (2009) e, dopo sei anni di pausa, il lungo documentario no home movie. Muore a Parigi nel 2015. Nel 2019 le è stata dedicata la monografia Uno schermo nel deserto, scritta da Ilaria Gatti.
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