Mickey 17, di Bong Joon-ho
Il regista torna a scandagliare le disuguaglianze sociali in una chiave più ludica e meno cinica rispetto ai suoi titoli coreani. Il suo film più divertente. BERLINALE75. Special Gala

Mickey Barnes è un impiegato usa e getta, un sacrificabile (expendable), uno scarto della società su cui compiere ogni tipo di esperimento e da mandare in avanscoperta nei luoghi più pericolosi. Tutto il contrario della solita figura del “prescelto” su cui spesso si basano le grandi opere cinematografiche di genere fantastico, da Guerre stellari a Matrix e Il signore degli anelli. Nessuno lo ha costretto, Mickey ha firmato di sua spontanea volontà per lasciare la società che lo aveva rigettato e partire verso il pianeta ghiacciato Niflheim, ma il suo errore è stato quello di non leggere attentamente i Termini e Condizioni. Ogni volta che una replica di Mickey muore, un nuovo clone viene rigenerato attraverso una stampante 3D che mantiene i suoi ricordi intatti. Mickey 17, interpretato da un ottimo Robert Pattinson, non è altro che il diciassettesimo esemplare di una lunga sequenza di morti più o meno volontarie, interrotta quando per un errore di calcolo viene creata la versione 18 mentre la numero 17 viene data per dispersa.
Sei anni dopo il successo di Parasite, Bong Joon-ho torna in sala con l’adattamento del romanzo fantascientifico di Edward Ashton dal titolo Mickey7. Il film più divertente del regista sudcoreano mette in scena una grande varietà di personaggi buffi e ridicoli; il protagonista alle prese con le morti più assurde, gli scienziati sbadati che giocano con il tablet e scommettono durante l’orario di lavoro, e soprattutto il miliardario transumanista Kenneth Marshall e la stravagante moglie Ylfa (Toni Collette). Il tycoon interpretato da Mark Ruffalo è un megalomane aspergeriano perso nella sua folle visione di colonizzare un altro pianeta per creare una nuova civiltà umana migliore e più “pura” della precedente. Ogni riferimento a Elon Musk non è assolutamente casuale, ma nel Kenneth Marshall di Ruffalo si può riconoscere un Trump più trumpiano di quello di Sebastian Stan, e in qualche modo una combinazione dei grandi dittatori del passato e del presente e le loro ossessioni espansionistiche. La missione dell’azienda di Marshall diventa così una campagna di pulizia etnica nei confronti di una specie aliena apparentemente ostile, ma come viene ribadito da un personaggio del film: “Siamo noi gli alieni, brutto idiota. Loro qui c’erano già”. Un concetto che risuona estremamente attuale e quantomai urgente.
Con Mickey 17, il regista torna a scandagliare i rapporti di classe e le disuguaglianze sociali in una chiave molto più ludica e meno cinica rispetto ai suoi titoli coreani. Una commedia sci-fi che parla degli ultimi, delle loro frustrazioni e la disperazione che porta ad accettare condizioni di vita disumane. Mickey è l’ennesimo emarginato del suo cinema, un personaggio che non trova il suo posto neanche a mensa, sfruttato fino all’estremo sul luogo di lavoro e salvato solo dall’amore di una donna protettiva e premurosa. Niente di rivoluzionario, vista in questo modo potrebbe essere l’esistenza più convenzionale dell’uomo comune del nostro tempo, e proprio a lui sembra parlare il regista. Un discorso che perde la sua incisività nell’ultimo atto, quando la storia giunge a conclusione e le tensioni che hanno percorso il film si risolvono in un prevedibile lieto fine.