Midnight Mass, di Mike Flanagan

Flanagan è il demiurgo di questa nuova dimensione orrorifica contemporanea umana, emotiva e psicologica. Dopo Hill House, Bly Manor e Doctor sleep si riappropria di un’altra trasposizione letteraria

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L’horror contemporaneo presenta, rispetto a quello classico, una dimensione più umana, calma e introspettiva; dimensione di cui Mike Flanagan è il più affezionato demiurgo, grazie alla sua capacità di trasporre e manipolare le opere di terzi – quando classiche, quando moderne (quasi sempre in una forte accezione kinghiana), senza permettere che il materiale originario riesca a offuscare la sua visione intima e personale della storia. Il suo è un cinema dell’orrore più maturo, che guarda in faccia la paura e la smantella un pezzo per volta. Impara, se non deruba, dal passato, mutando gli stilemi del genere a suo piacimento e aggiungendoci non solo il suo tocco emotivo, ma anche uno più profondo e riflessivo, che non viene messo da parte per dar precedenza al lato orrorifico ma ne è anzi potenziato. L’autore sta perseguendo un’idea inconsueta sul genere, frutto di un lavoro costante sulla sua immaginazione ispirata da una pura passione per l’horror. Non ci sono griglie e schemi, non prende le misure, non pesa la scena sulla bilancia per calcolare che ci siano abbastanza jumpscares che accontentino gli appassionati del terrore; fa unicamente ciò che gli ispira, parlando sia alla mente che al cuore.

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Welcome Home Nell” recitava la scritta sul muro di casa Crain nella sua acclamata serie tv rivelazione The Haunting of Hill House, e sempre con un “Bentornato a casa” viene accolto anche Riley Flynn, in Midnight Mass (tratta dall’omonimo romanzo di F. Paul Wilson) al suo arrivo a Crockett Island, uscito di prigione dopo aver scontato una pena di quattro anni per aver investito e ucciso una ragazza mentre guidava in stato di ebbrezza. Un ritorno a casa che sa di rinascita, o forse di morte, facendo già presagire l’ombra degli eventi futuri.
Il suo ritorno avviene parallelamente a quello di padre Paul, venuto per sostituire l’anziano monsignor Pruitt, un sacerdote che, dopo essere stato un punto di riferimento essenziale per la comunità dell’isolotto per tutta la sua vita, è dovuto andare nel continente per risolvere i suoi problemi di salute. Padre Paul si impegna con dedizione nel sostituire l’anziano parroco, riuscendo in poco tempo a guadagnarsi la fiducia dei fedeli, sia attraverso i continui sermoni – atti a esprimere a più riprese come il paese debba risorgere e ripartire con nuova vita – che grazie ai piccoli e misteriosi miracoli che sconvolgono quella cupa quotidianità, rispolverando la fede che stava andando perdendosi.

La miniserie è prevedibile nei suoi risvolti, più che altro agli inizi, ma è probabilmente un effetto voluto: il regista prepara lo spettatore a qualcosa che conosce col solo intento di sviarlo. C’è una sorta di presa estetico-emotiva che riesce a conquistare il pubblico con la sola idea del male in arrivo, che aleggia non visto, che sa esistere nonostante non si sia ancora manifestato. Chi guarda sa fin da subito che il male è dietro l’angolo e l’aspetta, sicuro che sta per arrivare, ma Flanagan persiste nel mostrare il mero umano e terreno, ponendolo in una cornice musicalmente inquietante che fa accumulare la tensione scena dopo scena ma trattenendo gli impulsi visivi, preferendo ancorarsi alla realtà.
Questo male pervasivo ma invisibile, al più mostrato con qualche fugace apparizione nel buio, inizialmente pare nascere dal paese stesso, poi persino dalle persone; perché è sì di natura sovrannaturale, ma ancor più è un male di natura umana, come dimostrato dal personaggio di Bev, rappresentazione della donna di chiesa fanatica, crudele e soprattutto ipocrita, come scoperto nella sua scena finale; o da Padre Paul, che non è altro che colui che guida lo spettatore nella sua difficile discesa negli inferi – una catabasi che inizia e finisce in questa piccola comunità.

Hill House e Bly Manor sono le serie horror firmate Flanagan che hanno fatto appassionare anche chi solitamente fugge dal genere, talmente sono state a loro modo innovative. “La gente di qui in gran parte è nata qui e muore qui. Il paese è un pozzo gravitazionale. È facile restarci bloccati.” Queste le parole profetiche che aprivano le porte di Bly Manor a Danielle, e che già davano un’idea della casa-corpo che chiama e il personaggio che deve rispondere. “È questo il tuo posto” dice la mamma a Riley appena sbarcato, in Midnight Mass, “La nostra non è più una comunità, è una città fantasma.” Fantasma riferito non solo ai luoghi e forse le persone, ma anche a uno stato mentale che avvinghia e non lascia sfuggire; e Flanagan continua a fondare la sua visione personale proprio su questa interiorità – il cui concepimento parte dai legami familiari, tra verità taciute, traumi emotivi e esistenzialismi ma anche atti di fiducia.
Il sovrannaturale diventa quindi una presenza costante, non uno spavento improvviso ma bensì un’angoscia onnipresente, che permea l’intero apparato della storia ed è quindi imprescindibile dai personaggi stessi, divenendo il riflesso dell’identità – un “mostro”, quindi, da cui non si può scappare.

Se si vuole arrivare a comprendere appieno l’intuito dietro Flanagan, che ha poi portato a Midnight Mass, allora è bene volgere lo sguardo anche a Doctor Sleep – una sorta di prototipo delle sue trasposizioni, che racconta meglio il suo non farsi influenzare dai fattori esterni, dando più importanza alla sua visione personale.
Quelle di Flanagan sono storie di fantasmi, d’amore, di morte, ma anche di vampiri; lo stesso Doctor Sleep vive sia di fantasmi che di “vampiri che succhiano l’anima”: interpretazione del tutto personale di questa figura importante, appartenente a quell’horror di cui oggi si è detto tutto ma che con lui appare in modi originali, e senza mai essere nominata, reinventandola da capo a piedi – o per l’appunto inventandone le origini, come in questo ultimo caso a partire proprio dalla Bibbia, dalla religione. Un mostro che è palesemente un demone ma viene chiamato angelo dal suo interlocutore, talmente credente da vederci un miracolo, scambiando la dannazione per beatitudine.

Le sue sono tutte storie corali, ove difficilmente spunta fuori un unico, effettivo protagonista, a dimostrazione della capacità di Flanagan di approfondire i suoi personaggi stando attento all’introspezione sulle loro vite e sulle conseguenze di quei traumi che riverberano al punto da condizionare passato, presente e futuro.
Tra l’altro, in Midnight Mass il pubblico subisce quasi un inganno, in cui prima Riley e poi padre Paul paiono il personaggio detentore, quando invece si vede poi quella responsabilità riversarsi sulle spalle di Erin Greene.
Personaggi uniti nel dramma della vita ma diversi tra loro per come lo affrontano, e in questo caso anche nel loro modo di intendere cosa sia e cosa voglia dire Dio, spostando l’indagine verso un discorso contemporaneo sul come la fede sia spesso malsana, e quanto facile sia la sua presa sulla società. Midnight Mass nasce proprio per indagare sul male del fanatismo religioso (e qua ricorda Le strade del male di Campos, sempre prodotto Netflix), e pertanto mette in mostra un mondo fatto di credenti ipocriti e squilibrati; ma non mancano comunque le persone oneste che vogliono realmente aiutare il prossimo, quasi una luce nella tenebra, per quanto anche questa possa essere traviata da quel fanatismo. Monsignor Pruitt era, infondo, convinto della bontà delle sue azioni, spinto da una fede tanto ossessiva da diventare il suo punto debole, portandolo a vedere un angelo in una figura oscura.
L’incapacità di distinguere il bene dal male è un punto focale nell’horror di Midnight Mass, che fa della sua arma l’antica paura dello sconosciuto, del non conoscere realmente il proprio vicino. L’intera storia si basa su nient’altro che la debolezza umana, mettendola in evidenza, ma anche esplicando messaggi sociali attuali sulle diversità culturali e di pensiero, i giovani come simbolo di speranza, e soprattutto, come l‘amore più puro sia l’agire per il prossimo seppur questo non porti beneficio nelle proprie tasche.

Midnight Mass riprende forse il concetto basilare di It, di Stephen King. Per poter sconfiggere Pennywise, il male, è fondamentale affrontare i propri timori interni, le paure più profonde ma in un certo senso umane, terrene; soprattutto per il come la malignità di It influenzasse gli stessi esseri umani che vivevano nella cittadina, alcuni dei quali hanno preso un ruolo da antagonista altrettanto importante e fondamentale per la creazione dell’atmosfera horror dell’opera. In Midnight Mass è stato preso in esame proprio questo lato umano, lasciando che siano le persone come fondamenta dell’inquietudine e angoscia che permeano la storia.
La narrazione può sembrare lenta e colma di monologhi prolissi, ma per quel che vuole raccontare questo ritmo è indispensabile se si vuol creare il necessario clima di tensione psicologica atta a far star male prima ancora di sapere la verità. Qui è più che mai importante il viaggio, e tutte le sensazioni lasciate da una serie di questo tipo: un’armoniosa tristezza, come nelle due The Haunting, tormento e, forse, lungimiranza, in Midnight Mass.

 

Titolo originale: id
Regia: Mike Flanagan
Interpreti: Kate Siegel, Zach Gilford, Kristin Lehman, Samantha Sloyan, Igby Rigney, Rahul Kohli, Annarah Cymone, Annabeth Gish, Alex Essoe, Rahul Abburi, Matt Biedel, Michael Trucco, Crystal Balint, Louis Oliver, Henry Thomas, Hamish Linklater
Origine: USA, 2021
Durata: 60-70 minuti (a episodio)
Distribuzione: Netflix

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.25 (12 voti)
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