MILAN DESIGN WEEK 2024. La forza del setting di Alcova

#MDW24 ha visto confermarsi l’intuizione di Alcova nel riscoprire spazi in disuso per usarli come piattaforme per il design. Dopo Lynch quello di Alcova è stato l’altro grande evento di quest’anno

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Con la consueta combinazione di esposizioni per Salone e Fuorisalone, tra il 16 e il 21 aprile scorso si è svolta anche quest’anno la Milan Design Week.
A distanza di mesi si può ripensare l’evento poliedrico e caotico con la serenità che serve per cogliere le punte veramente interessanti di quegli spasmodici giorni.
Al di là dell’installazione di Lynch di cui abbiamo già detto, la prima e più potente immagine che ci viene in mente è indubbiamente quella di Alcova 2024.
Non è un’immagine di un oggetto, potremmo dire che sia l’immagine di un concetto.

Alcova è una piattaforma creata nel 2018 da due designer provenienti da studi diversi, cioè Valentina Ciuffi (Studio Vedét) e Joseph Grima (Space Caviar). Alcova non è uno studio di design, ma un aggregatore per designer, compagnie, studi, brand, istituzioni e ricercatori. Tutti intenti alla ricerca nel design e tutti felici di trovare in Alcova l’appoggio per poter connettersi, dialogare e mostrare i risultati di ricerche su ambienti sensibili, prodotti, sistemi, materiali e innovazioni tecnologiche.

Ormai da tempo Alcova si è messa al centro della MDW per declinare ogni anno acutamente la propria idea di riscoperta del tessuto urbano e di movimento all’interno della grande conurbazione metropolitana. Tale idea seppur semplice è talmente spiazzante che si lascia dietro molte intuizioni degli altri players.

Per il 2024 Alcova ha deciso di far uscire letteralmente da Milano gli appassionati di design venuti da tutto il mondo, per portare la loro attenzione verso luoghi di solito dimenticati anche dai residenti. Portare quindi l’attenzione oltre il valore degli oggetti mostrati. Se esistono i “design victims”, nel caso di Alcova essi sono consapevoli che l’idea è più importante del design in quanto tale. Questo popolo del design si è ritrovato quindi sul treno delle nord per raggiungere Varedo (MB) e camminare fino a Villa Bagatti Valsecchi da una parte della ferrovia e Villa Borsani dall’altra parte. Con il creativo contrasto tra tale popolo e gli occhi di residenti che non sono più solo brianzoli, ma spesso immigrati da terre lontane, che vivono fuori Milano per risparmiare qualche soldo, e non capiscono cosa stia succedendo intorno a loro.

VILLA BAGATTI VALSECCHI

Alcova sembra quasi suggerire che il design non è il centro della questione, ma deve patteggiare con il contesto, un contesto questa volta di pregiatissima fattura.
La Villa Bagatti Valsecchi è una dimora nobiliare già presente nei catasti del ‘500, ma che venne poi sviluppata e ampliata tra ‘700 e ‘800. Dopo anni di abbandono, a causa anche delle spese di mantenimento, è stata di recente riportata a nuova vita, e Alcova ha giustamente pensato di usarla come scenario dell’intervento al Fuorisalone 2024.
In un contesto simile il design fa ovviamente fatica a fare la voce grossa come potrebbe fare in contesti ad esso dedicati come via Tortona. Tuttavia da questo fragile equilibrio è nata un’esperienza molto interessante. Qualcosa che fa da filtro ai moltissimi design presenti per vedere chi rimane nel ricordo ergendosi al di sopra di cotanto ambiente.

Per esempio le “Offset Wrenches” in acciao di Iyo Hasegawa, o la visione del futuro degli studenti del MAIA di HEAD Geneve con la loro installazione “2084 a diorama of the future”, o il divano da esterno “Garden House” di Object of Common Interest, o “telare la materia” cioè la camera allestita da Davide Balda per Benetton (una installazione che ricorda molto la Venus di Pistoletto alla Tate Modern), o infine le lampade Pulpolis di Kickie Chudickova.
Tutti esempi che appunto mostrano la forza di contrastare quel setting che invece ci è parso un po’ nascondere altre soluzioni quando queste erano troppo “leggere”. Pensiamo all’allestimento di Junia Ishigami le cui interessanti sedie in ferro quasi spariscono assoggettate dalla antica ghiacciaia dove sono state poste, un luogo magico a cui si arriva attraverso un tunnel tipico delle finte grotte create nelle ricche dimore di un tempo, sull’onda romantica di riscoperta del gotico.

“Garden House” di Object of Common Interest (foto di Federico Fianchini)

Sicuramente scegliere posti dalla personalità forte implica la forte possibilità di rendere invisibili gli oggetti presentati. Forse chi espone conosce questo rischio ma lo corre non di meno. Alcune realtà spariscono, altre riescono mirabilmente ad interpretare il proprio ruolo e a sposarsi con il luogo. Ci viene in mente il minigolf di Diego Faivre, Hugo Beheregaray e Pierre Castignola, allestito nel parco retrostante la villa. L’allestimento riesce a dare un sublime contrappunto, anche coloristico, con l’austero contesto che resta impresso nella memoria.

Azzardarsi a dare un senso proprio ad uno spazio così potente è pericoloso. Alcuni, come Hilos studio o Harry Thaler per Econitwood, ci provano ma alla lunga forse cadono, come se l’intuizione di allestimento fosse troppo debole. La praghese Uprum Academy invece, presentando WAKE, l’ultima collezione creata dagli studenti, punta sulla moda da esibire in un contesto furnitures, e la presentazione risalta proprio per la capacità di interpretare lo spazio riempito con una enorme mela rossa (alimentata ad aria come un pallone) a cui sono appesi gli abiti creati apposta.

“WAKE” di UPRUM Academy (foto di Federico Fianchini)

VILLA BORSANI

Questo discorso sullo spazio vale anche per l’altra location di Varedo cioè la Villa Borsani. Siamo sicuramente in un contesto più agevole (una grande villa moderna, anni 40), nulla di paragonabile alla proprietà secolare dei Bagatti. Tuttavia anche qui il design deve sgomitare col fascino di un arredo che comunque risalta, e tende a reclamare un posto da protagonista. Si pensi solo alle scale di casa, o alla cucina rimasta esattamente quella di un tempo. Allo stesso modo ricordiamo i lavori in legno di Studio Tooj e di Andrea Tsang studio che, incrociando le culture asiatiche e scandinave, creano mobili e sedute che si adattano bene alla personalità dell’ambiente suddetto. Lo stesso ci pare valga per il lampadario Sunday nell’atrio di accesso alla casa. Fino addirittura al contrasto puro portato da Sema Topaloglu che con coraggio affronta il bagno d’epoca del primo piano con un allestimento kitsch coloratissimo ad evitare proprio le mezze misure e qualsiasi tipo di trattativa. Interessante anche WKND lab con le sue morbide poltrone a gomitolo che si distaccano dal setting ma percorrendo la via del gesto minimalista.

Non Conformist Garden di Sema Topaloglu (collage di foto di Federico Fianchini)

Se però usciamo dalla bolla alcova anche quest’anno la MDW è rientrata nella situazione descritta in passato per cui l’importanza dell’immagine è ormai superiore a quella dell’oggetto in sé. Girando per il fuorisalone questo è molto esperibile, laddove al salone invece si tende ad essere più concreti. Il salone del mobile però ci pare continui a soffrire di una certa paura post covid che lo fa muoversi (ed esporsi) sempre col freno a mano tirato. In più, se si parla di bolla per Alcova, quest’anno a Rho c’è stato il confronto diretto con un maestro come David Lynch e per esso ci è parso di vedere proprio un’astronave scesa nel deserto.

IL FUORISALONE DENTRO MILANO

Il fuorisalone milanese (quindi quello classico F205M) invece presenta il consueto carnevale di stimoli visivi nei luoghi deputati. Oltre a via Tortona quindi i -dai milanesi molto amati- palazzi nobili del centro città, come Palazzo Litta a corso Magenta o Palazzo Bovara a corso Venezia per dirne due a caso.

L’annualità dell’appuntamento porta inevitabilmente ad una reiterazione di visione che a volte fatica a trovare senso se comparata ad annate precedenti. Nel mare magnum del Fuorisalone si prova a seguire un filo, ma è difficile restare seri quando a Palazzo del Senato (struttura seicentesca usata dagli Spagnoli) una giovane guida inglese ci dice, col tipico accento, che uno dei momenti più intensi della sua vita è l’apertura automatizzata del W.C di Kohler, presentato nel centro del cortile di cotanta struttura. Ecco, forse oggi il Fuorisalone è proprio questo: molto rumore per poco, o addirittura per qualcosa che sfora nel controproducente.

In linea di massima ci pare che la direzione vada verso una evidenziazione del nulla, utile solo ad essere instagrammato. È vero che girando per Milano si trovano sempre gemme nascoste. Per esempio l’allestimento di Marimekko del bar Stoppani diventato per l’occasione bar Unikko, o -parlando di video- il geniale lavoro del collettivo Opposites United (una conferma dopo il colpo di fulmine scattato nel 2023). Spesso però si è sentito un velo di nostalgia, soprattutto vedendo gli storici lavori di Studio Azzurro nella propria sede, o la Casa Lana di Sottsass smontata e rimontata filologicamente grazie alla collaborazione con Iskra Grisogono di Studio Sottsass presso la Triennale.

Sembra che (da tempo) tutto il Fuorisalone oscilli tra il desiderio di innovazione, e la nostalgia del glorioso passato. Ma, come dice continuamente Alcova, trovare novità implica muoversi. Cercare anche in cortili oscuri quel pezzo di design che magari ci porta nel futuro. Senza sosta siamo andati in giro per la città, rimanendo affascinati da piccole potenti realtà, come -presso lo spazio BASE- il tavolo sonoro creato dal lavoro combinato di Doppiosegno ed Elle Hey, che ci guidano, tramite il dispositivo creato ad hoc “Playtronica”, alla fruzione di una installazione tattile con sedie, lampade, scarpe e frutta che possiamo toccare per produrre voci sonore. O come lo spazio periferico vicino via Mecenate, preso dai belgi di Zaventem Ateliers (già presenti due anni fa a Baranzate) dove, tra molta interessante produzione, siamo rimasti incantati dai bellissimi “fragments” di Laura Pasquino.

Resta quindi sempre la speranza di una epifania che si nasconde in qualche anfratto poco reclamizzato. Resta la lotta per trovarlo. Trovare quella piccola illuminazione che ci fa fare pace con la fatica e con la vacuità. Il design sicuramente continua, e ogni anno aneliamo tutti ad un’annata migliore della precedente.

Fragments di Laura Pasquino (foto di Federico Fianchini)

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