MILANO 22 – “Mort à vendre”, di Faouzi Bensa?di (Concorso Lungometraggi – Miglior Film Africano)


Faouzi Bensa?di non tradisce le regole del noir e struttura il suo film conferendogli un’aura mortifera. Mort à vendre riesce però a mantenere una caratterizzazione fortemente autoctona anche nella gestione del ritmo nel quale l’autore riesce a rispettare una autonoma struttura temporale lontana dal cliché di una vicenda stretta tra le pieghe del tempo che scorre inesorabile. Premio Credito Artigiano 2012 per il Miglior Lungometraggio Africano del Festival

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Mort à vendrePartendo dalle coordinate del noir che bene conosciamo, Bensa?di, già autore di Mille mois, premiato nel 2003 in questa stessa manifestazione, struttura Mort à vendre conferendogli un’aura mortifera, consolidando quel buco nero che appartiene di diritto al genere e trasformando la sua Tetouan in una delle qualsiasi città in cui amore e morte, paura e desiderio si incrociano in ogni noir che si rispetti.

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Malik, Allal e Soufiane sono tre amici alla deriva che progettano un colpo in una gioielleria, ma le loro tre vite prenderanno strade diverse, Malik, si innamorerà di una prostituta e per aiutarla diventerà un confidente della polizia, Soufiane diventerà un integralista e Allal si dedicherà allo spaccio della droga. Il tradimento, l’amore e la morte fagociteranno le loro vite.

 

Faouzi Bensa?di è persona colta e sensibile, vivace e divertente e il suo film non sembrerebbe assomigliargli, tanto vive di cupezza assoluta, sintomo di un destino che segna già fin dal suo avvio le storie dei tre protagonisti. Si tratta di personaggi senza speranza e senza speranza di redenzione che si muovono all’interno di un panorama cittadino altrettanto tenebroso da costituire un ideale palcoscenico per le drammatiche vicende dei tre perduti antieroi.

All’interno di queste conosciute coordinate quindi Bensa?di costruisce il suo film che pur mantenendo le caratteristiche forti del genere e quindi smentendo chi vorrebbe, caso mai, che un buon noir abbia bisogno assoluto delle strade bagnate di una qualsiasi delle metropoli americane, gli conferisce una caratterizzazione fortemente autoctona quando, ad esempio, scende nei particolari rapporti familiari, quelli di Malik specialmente oppure quando, nel trattare il rapporto con la prostituta Dounia evidenzia una progressione inattesa del personaggio (sempre Malik) che costituisce una buona soluzione per segnare un mutamento dei principi che sicuramente è in atto a molte latitudini del continente Africano. Non è un caso che in fondo sia Malik l’unico dei tre amici che avrà un futuro.

 

Non siamo dalle parti di un cinema concitato, di una vicenda stretta tra le pieghe del tempo che scorre inesorabile, Bensa?di si concede i propri ritmi e in questa autonoma struttura temporale va ritrovato un altro pregio del film che mantiene per queste ragioni una propria decisa fisionomia, senza volere scimmiottare nessuno, pur all’interno di quelle regole di genere che non risultano mai violate.

Dentro queste tensioni, in cui il personaggio in qualche modo più sgradevole, il commissario di polizia, viene assunto dallo stesso regista che in altre occasioni ha, con efficacia, vestito i panni di attore, si dipana la storia di Mort à vendre, premiato con un riconoscimento minore all’ultima edizione del Festival di Berlino. Un film che rappresenta l’ennesimo capitolo di un cinema africano che resterà relegato alle sale dei festival o, quando tutto andrà bene, alle programmazioni televisive notturne del fine settimana.

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