Milano 23 – “The Cremator”, di Peng Tao (Concorso Lungometraggi)

The cremator

Già autore dell’apprezzabile Little Moth, Peng Tao continua a lavorare sui personaggi e sulle loro solitudini. L’autore scava dentro le marginalità residuali della società cinese per fermare il pensiero e lo sguardo su cosa e quanto ci si stia lasciando alle spalle durante la corsa verso l’agognata prosperità. Il suo cinema controcorrente sceglie il meditativo silenzio piuttosto che l’irrompere di un urlo. Vincitore del Concorso lungometraggi.

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The crematorLa solitudine di Cao, che lavora al crematorio di un villaggio, è pari solo alla sgradevolezza del suo mestiere. La sua rassegnazione è riassunta nella frase, rivolta alla giovane che cerca la sorella: “Chi vuoi che sposi un becchino?”. Essenziale e dolente il film di Peng Tao, già autore di Little moth storia drammatica di una bambina senza una famiglia in una sezione retrospettiva lo scorso anno qui a Milano, incupisce i suoi toni, legandoli a quelli della vicenda, attraverso una minimizzazione e un livellamento cromatico, una ricerca che tende all’assoluta assenza di qualsiasi elemento superfluo, una condensazione dei dialoghi tra i personaggi. Il mondo di Cao, già deserto e senza futuro, si fa più gelido, come i corpi con i quali ha quotidianamente da fare. La donna con cui convive lo abbandona perché il marito sta uscendo di prigione e anche i suoi traffici con le “spose fantasma” non lo soddisfano più. Una tradizione vuole un matrimonio tra defunti non sposati e per procurare una sposa i parenti sono disposti a pagare ingenti somme di denaro.

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Un giorno il corpo di una donna viene consegnato all’obitorio, l’arrivo di Xiuqiao, sorella della defunta, diventerà l’occasione per Cao per istituire un profondo e inatteso rapporto affettivo prima di morire.

Peng Tao non concede nulla allo spettacolo e il lento declino di Cao è confortato solo dalla presenza della giovane donna le cui affettuose cure diventano un viatico per i suoi ultimi giorni. Ciò che colpisce del cinema dell’autore che sembra confermare, con questo suo film i risultati lodevoli della sua prima esperienza, è la sensibilità nel raccontare l’umanità dei suoi personaggi. Un cinema quasi impalpabile che sembra lontano da qualsiasi scuola, leggero nella sua messa in scena e denso, pesante, nella sua consistenza, nei suoi contenuti. Il protagonista di The Cremator sembra essere l’ultimo della scala sociale, schiacciato dalla sua vita, distante da qualsiasi desiderio con una accettazione stoica di questa sua condizione, ma i suoi sentimenti e le speranze represse sono affidati al suo occasionale ultimo affetto e all’occhio del regista che le racconta con pacata rassegnazione.

Peng Tao scava dentro le marginalità residuali di una società come quella cinese che ha imboccato la strada del benessere economico e della invidiata crescita, quasi per fermare il pensiero e lo sguardo su cosa e quanto ci si stia lasciando alle spalle durante la corsa verso l’agognata prosperità. Un cinema che diventa anche monito e avvertimento, un cinema controcorrente che sceglie il meditativo silenzio piuttosto che l’irrompere di un urlo e che ritrae la preziosa e occasionale ricchezza dei sentimenti dentro il deserto delle solitudini che le sue storie ci raccontano.

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